Tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali sono cresciuti del 24,3%, pressoché in linea con produttività del lavoro (22,6%).
Aumenti salariali al di sopra dei guadagni di produttività per periodi prolungati di tempo implicano necessariamente una perdita di competitività di costo (misurata da un innalzamento del costo del lavoro per unità di prodotto, CLUP) e/o un assottigliamento della redditività delle imprese e della remunerazione del capitale, con conseguente impatto negativo sulla dinamica degli investimenti e quindi sulla crescita nel lungo periodo.
Queste considerazioni sono a maggior ragione valide per il settore manifatturiero, che è più esposto alla concorrenza internazionale e dove l’accumulazione di capitale è essenziale per la qualità dei prodotti e per la competitività.
Tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali per ora lavorata sono cresciuti del 24,3%, pressoché in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro (22,6%).
Guardando all’evoluzione anno per anno, si rilevano alcuni disallineamenti (Figura A). In corrispondenza della frenata dell’attività dei primi anni Duemila e ancor più del crollo nel 2008-2009, la dinamica salariale, sostenuta dai meccanismi contrattuali e dall’attivazione degli ammortizzatori sociali, risulta aver avanzato a ritmi invariati, nonostante l’andamento pro-ciclico della produttività. Per contro, nella fase espansiva che ha seguito la crisi dei debiti sovrani, si sono registrati più ampi guadagni di produttività, al di sopra degli aumenti salariali. Il disallineamento aveva già iniziato ad assottigliarsi nel 2019 e si è definitivamente chiuso nel 2020. L’estensione erga omnes della CIG disposta dal Governo all’inizio dell’emergenza sanitaria, infatti, ha da un lato sorretto la produttività (le ore lavorate si sono ridotte quasi all’unisono con i livelli di attività) ma ha anche, insieme ai sostegni alle imprese, salvaguardato occupazione e salari...continua a leggere la nota sul sito di Confindustria