Il rapporto valuta i progressi di sette Stati membri dell’UE non appartenenti all’area dell’euro. Bene per la Croazia, adotterà l'euro dal 2023. Nel complesso progressi limitati dalle difficili condizioni economiche.
Nel Rapporto sulla convergenza di giugno 2022 la Banca centrale europea (BCE) giunge alla conclusione che dal 2020 i paesi dell’UE non partecipanti all’area dell’euro hanno conseguito risultati limitati nella convergenza economica con l’area, principalmente a causa delle difficili condizioni economiche.
Il rapporto, pubblicato ogni due anni, valuta i progressi verso l’adozione dell’euro dei sette paesi dell’UE che non hanno ancora introdotto la moneta unica: Bulgaria, Croazia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Ungheria.
Presenta inoltre una valutazione più approfondita della Croazia, che ha annunciato l’intenzione di adottare l’euro il 1° gennaio 2023. Bulgaria e Croazia hanno entrambe aderito ai nuovi Accordi europei di cambio (AEC II) e all’unione bancaria il 10 luglio 2020.
La crisi legata al coronavirus (COVID-19) ha provocato un calo significativo dell’attività economica nel 2020, da cui tutti i paesi in esame si sono ripresi con forza. L’invasione russa dell’Ucraina a febbraio 2022 ha gravato sulla crescita, e l’inflazione è aumentata in tutti i paesi valutati. È peraltro prematuro trarre conclusioni definitive su quali saranno gli effetti sui percorsi di convergenza. La valutazione prospettica della convergenza avviene in un contesto di elevata incertezza e l’impatto potrà essere determinato appieno solo a posteriori.
Per quanto concerne il criterio della stabilità dei prezzi, soltanto Croazia e Svezia hanno registrato tassi inferiori o ben inferiori al valore di riferimento del 4,9%. Tale valore si basa sui dati dell’inflazione media registrati nei tre paesi che hanno conseguito i migliori risultati negli ultimi 12 mesi – Finlandia, Francia e Grecia (dopo l’esclusione dei dati fuori linea di Malta e Portogallo). Negli altri cinque paesi analizzati – Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria – i tassi di inflazione sono risultati bel al di sopra del parametro negli ultimi 12 mesi, al pari di quanto osservato nel rapporto sulla convergenza del 2020.
Quanto ai criteri delle finanze pubbliche, al momento della pubblicazione del rapporto soltanto la Romania era oggetto di una procedura per i disavanzi eccessivi (avviata in aprile 2020). Sebbene nel 2021 altri tre paesi in esame – Bulgaria, Repubblica Ceca e Ungheria – abbiano superato il valore di riferimento del 3% del rapporto fra disavanzo pubblico e PIL, non sono state aperte nuove procedure per i disavanzi eccessivi.
Dopo un netto incremento osservato nel 2020 a seguito della crisi legata al COVID-19, nel 2021 i disavanzi di bilancio si sono mantenuti elevati in tutti i paesi a eccezione della Svezia. Rispetto al 2020, i saldi di bilancio sono migliorati nel 2021 in tutti i paesi in esame tranne che in Bulgaria e Repubblica Ceca. Sulla base delle previsioni economiche di primavera 2022 formulate dalla Commissione europea, il rapporto disavanzo/PIL registrerebbe perlopiù una diminuzione nella maggior parte dei paesi nel 2022 e 2023. Dovrebbe tuttavia superare il valore di riferimento nel 2023 in Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria.
Nel 2021 il rapporto fra debito delle amministrazioni pubbliche e PIL si è collocato tra il 20% e il 40% in Bulgaria e Svezia e ha raggiunto un livello compreso tra il 40% e il 60% in Polonia, Repubblica Ceca e Romania, superando invece il valore di riferimento del 60% in Croazia e Ungheria.
Nel 2022 e 2023 ci si attende un calo del rapporto debito pubblico/PIL in quattro dei paesi per effetto del miglioramento dell’attività economica e del graduale venir meno delle misure di bilancio introdotte per contrastare la pandemia di COVID-19, mentre i saldi di bilancio dovrebbero risultare gravati da nuovi interventi adottati in risposta ai rincari energetici e alla guerra russo-ucraina.
In relazione al criterio del tasso di cambio, il lev bulgaro e la kuna croata hanno partecipato agli AEC II per la maggior parte dei due anni del periodo di riferimento dal 26 maggio 2020 al 25 maggio 2022 con un rispettivo tasso di cambio centrale di 1,95583 lev per euro e 7,53450 kune per euro. Il cambio della kuna ha mostrato un basso grado di volatilità e la moneta croata è stata scambiata a un livello prossimo alla sua parità centrale. Il lev bulgaro non si è discostato dalla parità centrale. A eccezione del leu rumeno, i tassi di cambio delle divise non partecipanti agli AEC II hanno mostrato un grado di volatilità relativamente elevato.
Sul fronte della convergenza dei tassi di interesse a lungo termine, i valori più bassi di tali tassi medi sui 12 mesi sono stati registrati in Bulgaria, Croazia e Svezia. Con un tasso del 2,5% anche la Repubblica Ceca si è collocata appena al di sotto del valore di riferimento del 2,6%. Per due dei paesi in esame (Polonia e Ungheria) sono stati osservati valori superiori al paramento di riferimento, mentre in Romania tale valore è risultato ben al di sopra del parametro di riferimento.
La solidità del quadro istituzionale costituisce un importante fattore per la sostenibilità della convergenza nel corso del tempo. Con l’eccezione della Svezia, la qualità delle istituzioni e della governance è relativamente carente nei paesi esaminati. In relazione al tema della convergenza legale, la Croazia è l’unico paese in rassegna nel quale il quadro giuridico soddisfa appieno i requisiti per l’adozione dell’euro ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dello Statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (Statuto del SEBC).