Antonio Patuelli, Presidente ABI, alla Tornata dell’Accademia degli Incamminati in occasione della consegna del ‘Vincastro d’Argento", è intervenuto sul binomio etica e sostenibilità considerando il ruolo delle banche.
"Il concetto di etica è molto più antico e consolidato di quello di sostenibilità, anche se i due concetti appaiono sempre più connessi.
Per millenni le persone non si sono poste problemi di sostenibilità, di limiti alla crescita economica e allo sviluppo: le società erano, in genere, quanto mai arretrate, la povertà era prevalente, la popolazione cresceva gradualmente e le risorse della Terra parevano illimitate nelle dimensioni e nelle potenzialità. Si trattava principalmente di sfruttare sempre meglio le allora apparenti infinite potenzialità della Terra e dello sviluppo economico, sociale e civile.
Soltanto nel Novecento avanzato, molto avanzato, si sono crescentemente affermate le problematiche dei rischi dello sviluppo senza confini e della tutela dell’ambiente, anche prospettica, ma coloro che se ne occupavano spesso apparivano dei futuristi catastrofici e visionari.
Il futurismo nella prima metà, almeno, del Novecento appariva come legato soprattutto all’infinita ricerca scientifica connessa prima alle evoluzioni delle macchine e, poi, delle tecnologie, in un mondo di cui, il più delle volte, non si avvertivano i limiti e i rischi.
Soltanto negli anni Ottanta del Novecento l’umanità si scontrò ed iniziò ad avvertire i limiti dello sviluppo ed i rischi ad esso connessi: il disastro di Chernobyl fu il più fragoroso e preoccupante per le comunità mondiali.
L’Italia si sorprese anche quando venne colpita da diverse violente forme di inquinamento, come nel 1976 dal disastro di Seveso, e poi dall’eutrofizzazione delle alghe in Adriatico, cioè dai processi degenerativi delle acque conseguenti a vari fenomeni industriali e urbani.
Soltanto negli anni Ottanta l’Italia istituì un Ministero apposito, prima definito dell’Ecologia e poi dell’Ambiente.
Il termine “sostenibilità” non è nemmeno contemplato dalla gran parte dei più dotti dizionari di scienze sociali, di politica, di economia e finanza, né in quelli generalisti anche di fine Novecento.
La rapidità dell’accelerazione dello sviluppo economico e della popolazione ha più recentemente imposto ai più qualificati organismi internazionali il termine “sostenibilità” che occorre innanzitutto declinare come metodo, come lungimiranza delle potenzialità di ogni attività ed iniziativa e dei rischi connessi.
La “sostenibilità” è, in sostanza, alternativa all’ “attualismo”, a tutto ciò che non valuta le conseguenze innanzitutto prospettiche. “Sostenibilità” è innanzitutto visione lunga e alternativa alle scelte basate anche sulla sondaggistica che analizza principalmente le conseguenze emotive di fenomeni già consolidati.
L’etica ha incrociato forse per prima la “sostenibilità” e le sue connessioni.
L’etica, termine di derivazione greca ed in qualche modo equivalente alla latina morale, ha, invece, millenni di riflessioni alle spalle e già da secoli, implicitamente, conteneva anche i principi della “sostenibilità”, ma senza una sua specifica, prospettica e matura declinazione, anche se molto approfondita nei secoli è stata la discussione sulle leggi della natura, più che sui suoi limiti soprattutto prospettici.
Per secoli l’etia è stata dibattuta soprattutto da diversi punti di vista religiosi e laici. Religiosi fra più culture, confessioni e religioni diverse.
Laici soprattutto intesi come connessioni fra etica civile e legislazione umana. A lungo si svilupparono forti discussioni fra scienza e morale e su quale delle due potesse prevalere. Nel Novecento, finalmente, si affermò crescentemente la connessione diretta fra morale civile e diritto pubblico, soprattutto nel nuovo costituzionalismo, frutto non di concessioni regie di Statuti, ma di elaborazioni collettive di Costituzioni da parte di Assemblee rappresentative. L’etica si è così crescentemente diffusa come consapevolezza più generale, non solo conseguenza di norme disposte da autorità non elettive o da soli precetti religiosi.
Più fortemente sono cresciute le attenzioni generali verso i diritti dei malati e l’etica degli affari.
Ma “sostenibilità” impone un salto di qualità, innanzitutto metodologico e prospettico, di valutazione dei rischi di crescita all’infinito di uno sviluppo che deve essere preventivamente compatibile con la tutela della salute e dell’ambiente e con le possibilità stesse di ulteriore potenziale, anche inimmaginabile, futuro ulteriore sviluppo.
La dottrina sociale della Chiesa ha fatto importanti sforzi in tal senso. Giovanni Paolo II, così come suoi autorevoli contemporanei laici, ha indicato la necessità che “prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno”.
A fine Novecento crebbero le sensibilità verso i rischi di sviluppo di un mondo più popolato, più inquinato, meno stabile ecologicamente e più prospetticamente vulnerabile. Iniziava a valutarsi che, nonostante le maggiori produzioni, la popolazione mondiale sarebbe stata più povera, che la stessa disponibilità di cibo avrebbe potuto peggiorare.
Così la tutela dell’ambiente rappresenta una sfida per tutta l’umanità, un dovere comune e universale di rispettare beni collettivi, impedendo che si possa fare “impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati”.
E’ cresciuta una sempre più diffusa sensibilità verso un ambiente sano e sicuro e verso un diritto che sappia crescentemente tutelarlo, assieme ad una sempre più alta sensibilità per i diritti umani, fra cui la salute delle persone.
L’ONU ha definito sviluppo sostenibile “quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni”, anche per affrontare la povertà, soprattutto l’estrema, a cominciare dalla fame, per rendere universale l’istruzione almeno primaria, per promuovere la parità dei sessi e combattere le malattie e sostenere lo sviluppo per tutti.
L’ “agenda” ONU in previsione del 2030 indica 17 obiettivi globali in un grande piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità fra cui sconfiggere la povertà e la fame, assicurare salute e benessere per tutti, fornire un’educazione inclusiva, equa e di qualità, raggiungere la parità di genere, garantire la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie, assicurare sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni, un lavoro dignitoso a tutti con una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, promuovere l’innovazione e l’industrializzazione equa, responsabile e sostenibile, ridurre le diseguaglianze, rendere gli insediamenti umani inclusivi e sicuri, garantire modelli sostenibili di produzione e consumo, combattere il cambiamento climatico, conservare gli oceani e i mari, proteggere e ripristinare l’ecosistema terrestre, tutelare le foreste, contrastare la desertificazione, il degrado dei terreni e le perdite delle diversità biologiche, promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile con tutela della giustizia per tutti, rafforzare le collaborazioni mondiali per lo sviluppo sostenibile.
Insomma, le prospettive dello sviluppo economico debbono rispettare anche prospetticamente l’integrità ed i ritmi della natura e della salute delle persone, anche perché le risorse naturali non sono illimitate e diverse di esse non sono rinnovabili.
Il mondo bancario farà crescentemente la propria parte, con sempre maggiore lungimiranza, a tutela della “sostenibilità”, anche se, certamente, non potrà e non dovrà fare tutto.
Abbattere l’indigenza, la povertà anche nelle economie più avanzate, è interesse di tutti.
La via maestra è la ripresa dello sviluppo sostenibile e lungimirante con più qualificazione professionale, più occupazione e più garanzie sociali.
Costituzionalismo, libertà, democrazia, economia di mercato, giustizia sociale e ricerca scientifica debbono esprimere un progresso più lungimirante, equo e diffuso."