Nel 2021 l'agricoltura che l'anno precedente si era distinta come uno dei settori meno penalizzati dal lockdown, non ha beneficiato del generale clima di ripresa che ha caratterizzato il secondo anno della pandemia.
Il settore agricolo e agroalimentare nella fase della crisi pandemica
Dall’inizio della pandemia la filiera produttiva del settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca non ha subito interruzioni di rilievo: le attività collegate alla coltivazione e alla pesca sono state incluse, pur con alcune differenziazioni, tra quelle ritenute necessarie e, quindi, a esse non sono stati applicati i divieti imposti per le altre attività di produzione o di scambio al fine di contenere la diffusione del contagio.
Garantire la sicurezza alimentare ha costituito, infatti, una delle priorità fondamentali dei governi e della Commissione europea. Tuttavia anche il settore primario si è dovuto scontrare con le complessità all'interno delle catene logistiche, le restrizioni alla libertà di movimento, la significativa carenza di risorse umane (soprattutto di immigrati impossibilitati a raggiungere i luoghi delle produzioni stagionali) nonché con la caduta generalizzata del reddito dei consumatori. Il settore nel 2020 ha perso l’1,8% della produzione e il 4,7% del valore aggiunto in volume, a fronte di un calo dell’8,8% registrato per l’intera economia nazionale.
La crisi ha danneggiato soprattutto le attività secondarie, primo fra tutti il comparto agrituristico. Anche il settore della pesca nel 2020 ha subito un pesante ridimensionamento (-19,9% di produzione e -26,8% di valore aggiunto in volume).
Nel 2021, poi, l’agricoltura non ha beneficiato della ripresa dell’economia nazionale poiché fortemente colpita da fattori climatici avversi: i volumi produttivi sono infatti ulteriormente diminuiti (-0,4%) e il rilevante incremento dei costi di produzione ha indotto un nuovo calo del valore aggiunto dello 0,8%. Ciononostante segnali positivi sono arrivati dai dati su occupazione e redditi agricoli; anche il comparto agroalimentare ha segnato una crescita in volume del 2,4%.
Dalla resilienza nel 2020 a una ripresa frenata nel 2021
Nel biennio 2020-2021 l’agricoltura, come attività essenziale, ha goduto di un livello di operatività che le ha permesso di mantenere pressoché inalterato il suo contributo alla formazione della ricchezza nazionale. A pagare il prezzo della crisi sono state soprattutto le attività secondarie e i servizi di supporto, ma la capacità di resilienza del settore ha permesso di contenere la perdita di valore aggiunto, che nel 2020 è diminuito in volume del 4,7%, fermandosi appena sopra i 33,3 miliardi di euro.
Nel 2021 il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca ha, però, subìto gli affetti negativi delle avverse condizioni climatiche cui si è aggiunto, soprattutto nella seconda parte dell’anno, il forte rincaro dei costi degli input produttivi. In controtendenza rispetto agli altri settori economici, che hanno visto un recupero generalizzato del valore aggiunto, il settore ha pertanto registrato una ulteriore modesta contrazione: la produzione è diminuita in volume dello 0,4% e il valore aggiunto dello 0,8% (Prospetto 1). I prodotti tipici dell’agricoltura hanno subìto una contrazione dell’1,2% del volume della produzione e dello 0,6% del valore aggiunto e flessioni consistenti hanno interessato anche la silvicoltura, la cui produzione ha perso il 5,3% in volume (-3,2% il valore aggiunto) e la pesca (-1,8% la produzione e
-2,9% il valore aggiunto in volume). Solo le attività secondarie dell’agricoltura, che nel 2020 avevano sperimentato una drastica riduzione dei volumi di produzione (-17,2%), nel 2021 hanno registrato un consistente recupero (+9,6%).
L’elemento distintivo del biennio, ma soprattutto dell’ultimo anno, è stato il progressivo incremento dei prezzi, lievitati dallo 0,7% al 6,7%, e il repentino innalzamento dei costi dei consumi intermedi, da -1% del 2020 a +8,5% nel 2021.