L’impatto sulle banche italiane della fine del regime delle ‘moratorie COVID-19’. Come gli istituti di credito stanno gestendo la graduale uscita dal regime di moratoria sui finanziamenti.
A seguito dello scoppio della pandemia di COVID-19 e delle relative misure restrittive che hanno causato un netto rallentamento dell’economia nazionale, il Governo italiano ha approvato in modo tempestivo misure per favorire imprese e privati che necessitavano di liquidità.
Tra le misure introdotte si segnalano quelle relative alla concessione di garanzia statale sui finanziamenti (attraverso garanzie SACE e fondi di garanzia per le PMI) e le misure di moratoria parziale o totale dei finanziamenti in regime di neutralità attuariale.
Quest’ultimo intervento si è rivelato particolarmente rilevante: si tratta, infatti, di circa 300 miliardi di moratorie, a fronte di 2,7 milioni di richieste. Il tema delle moratorie sta avendo impatti significativi sia da un punto di vista operativo sui meccanismi di gestione e monitoraggio intrapresi dalle banche, sia in termini di attenzione da parte delle Autorità di Vigilanza e dei Regulator nazionali ed europei per i possibili effetti di deterioramento delle controparti che, a fronte della sospensione dei pagamenti, potrebbero non essere puntualmente e prontamente intercettati.
A fronte di tale situazione, le banche hanno identificato ed attivato diversi interventi per prepararsi al temuto ‘cliff effect’ derivante dalla fine delle misure di favore, aumentando, sia nel corso del 2020 sia in sede di redazione dei bilanci di fine anno, le rettifiche di valore sui crediti e rivedendo i processi di classificazione / assegnazione dell’attributo ‘forborne’ (crediti oggetto di concessione).
Numerosi interventi istituzionali e di vigilanza si sono succeduti a partire dallo scoppio della pandemia di COVID-19 per garantire il regolare ed ordinato funzionamento del sistema finanziario europeo e globale.
In aggiunta alle linee guida fornite dall’EBA, la BCE ha inviato diverse lettere agli enti creditizi, al fine di orientare alcuni elementi relativi alla gestione dell’emergenza COVID-19. In questo ambito, sono state fornite, tra le altre, anche indicazioni relativamente alle classificazioni a default ed in forborne delle esposizioni creditizie oggetto di concessioni o con sintomi di difficoltà finanziaria della controparte.
Nelle lettere, oltre a fornire le proprie aspettative in merito alle best practice che dovrebbero essere adottate dalle banche, la BCE ha anche richiesto informazioni relativamente alla gestione di tali fenomeni da parte dei singoli istituti.
In particolare, l’EBA ha pubblicato immediatamente dopo lo scoppio della pandemia (aprile 2020) le Linee Guida per la classificazione delle moratorie, fornendo indicazioni volte ad indirizzare l’approccio degli istituti finanziari relativamente all’assegnazione dell’attributo ‘forborne’ o alla necessità di classificazione in default. In particolare, in caso la moratoria venga ritenuta ‘EBA Compliant’, non è obbligatoria l’attribuzione dello stato di Forborne in maniera automatica.
Nel pieno della seconda ondata del COVID-19, a fine settembre 2020, l’EBA ha concesso alle banche un’estensione delle moratorie sui crediti fino al 30 giugno 2021. Ancora non è chiaro se la terza ondata della pandemia, ancora in corso, porterà ad un’ulteriore proroga ed estensione del trattamento contabile favorevole per le banche e delle regole di emergenza.
In seguito alle estensioni delle moratorie nazionali avvenute il 30 dicembre 2020, l’EBA ha anche emanato a fine gennaio alcune FAQ che hanno fornito alcuni chiarimenti puntuali, in particolare:
KPMG ha analizzato i possibili effetti di un’interruzione del regime di moratoria, non adeguatamente gestita o non supportata da ulteriori misure istituzionali. Secondo le stime KPMG, nel 2021 il default rate potrebbe aumentare significativamente (+100/200 bps) e questo potrebbe comportare la generazione di nuovi NPL per un ammontare compreso tra 50 e 100 miliardi di Euro.
Bisogna considerare, infatti, che – sulla base di prime stime formulate dagli operatori di mercato – circa il 20% dei crediti oggetto di moratoria potrebbe essere a rischio e, se ciò accadesse, le banche si troverebbero a dover gestire di colpo una preoccupante ondata di nuovi NPL.
Un ‘effetto scalino’ che, a prescindere da eventuali deroghe dell’EBA, tutte le banche italiane stanno cercando di evitare azionando opportuni rimedi che coinvolgono l’intera organizzazione della gestione del credito.
A dimostrazione di ciò, già nel 2020 le banche hanno portato avanti misure di carattere prudenziale sui bilanci ed hanno già effettuato accantonamenti straordinari anticipati: sul fronte degli accantonamenti, secondo le elaborazioni di KPMG, nel 2020 sei tra le maggiori banche italiane hanno aumentato in media i livelli di copertura del 30% e hanno incrementato del 17% i crediti in Stage 2, ovvero i prestiti in bonis, ma con un maggiore rischio di deterioramento.
Come detto, le principali banche italiane hanno raccolto gli indirizzi della vigilanza, aumentando nell’ambito delle chiusure di bilancio 2020 gli elementi di prudenzialità nelle valutazioni sul rischio di credito, anche se con differenti modalità: alcuni istituti hanno optato per una maggiore crescita delle posizioni classificate a Stage 2, altri hanno invece aumentato significativamente le coperture, mantenendo sostanzialmente costanti i rapporti tra Stage 1 e 2.
Ciò è dipeso anche dall’incidenza di moratorie e nuovi finanziamenti concessi, dalla reattività delle modellazioni IFRS 9 (in particolare per le componenti forward looking) e da eventuali meccanismi di ‘overlay’ prudenziali.
In aggiunta alle scelte sulle politiche di bilancio, le banche si stanno anche attrezzando ad affrontare questa situazione riorganizzando i processi per la revisione del rischio di credito ed attivando soluzioni che consentano di traghettare oltre il periodo di crisi le controparti che hanno beneficiato delle moratorie e che possono rilanciarsi.
Al fine di identificare gli ambiti di intervento e focalizzare le azioni creditizie per la gestione della fine delle moratorie, gli istituti italiani si stanno organizzando al fine di attivare dei processi strutturati per la clusterizzazione ‘risk based’ e selezione delle controparti da contattare, per la modalità di revisione e valutazione del rischio di credito e per l’attivazione di eventuali azioni di natura creditizia.
Nell’ambito della valutazione della controparte gli addetti all’istruttoria dovranno tenere in considerazione determinati elementi che dipendono in prevalenza dal segmento di appartenenza del cliente: informazioni di bilancio/previsioni sui ‘cash flow’ e dati di natura settoriale per le controparti imprese, informazioni di natura finanziaria (movimentazione conti, accredito stipendio, impegni finanziari, ecc.) per i clienti privati.
Per riuscire a verificare centinaia di migliaia di posizioni in tempi rapidissimi, sarà necessario uno sforzo organizzativo straordinario da parte delle banche. L’attività sarà coordinata dalle aree risk management e crediti, ma dovranno essere coinvolti, anche rafforzando il personale dedicato, gli addetti ai fidi delle aree territoriali per la gestione dei mid e large corporate e i direttori di filiale per le posizioni retail. Serve uno sforzo operativo comune per superare una fase estremamente complessa per gli istituti bancari italiani.