Prospettive dell'occupazione OCSE 2025

Posted on 09/07/2025 in Economia by OCSE

Riportiamo una panoramica della situazione del mercato del lavoro in Italia sulla base dei dati contenuti nel rapporto OCSE “Prospettive occupazionali 2025”.

I mercati del lavoro rimangono resilienti, ma mostrano i primi segni di rallentamento.
Il tasso di disoccupazione dell’OCSE rimane al 4,9% nel maggio 2025, lo stesso di un anno fa.

Tuttavia, vi sono segni di rallentamento, con una decelerazione della crescita dell’occupazione e un ritorno delle difficoltà a trovare personale ai livelli pre-COVID-19 in molti paesi.

Nonostante il rallentamento della crescita economica dalla fine del 2022, il mercato del lavoro italiano ha raggiunto livelli record di occupazione e minimi storici di disoccupazione e inattività. A maggio 2025, il tasso di disoccupazione in Italia è salito al 6,5%, ovvero 0,1 punti percentuali in meno rispetto a maggio 2024 e 3,1 punti percentuali in meno rispetto a prima dell’inizio della pandemia, sebbene rimanga al di sopra della media OCSE del 4,9%.
L’occupazione totale ha continuato ad aumentare nell’ultimo anno, sebbene a un ritmo più lento, con un incremento dell’1,7% su base annua a maggio 2025. La crescita è stata trainata in particolare dalle persone oltre i 55 anni di età. Tuttavia, il tasso di occupazione in Italia rimane significativamente inferiore alla media OCSE (62,9% rispetto al 70,4% nel primo trimestre del 2025). L’inattività, in calo a maggio, è a livelli storicamente bassi anche se ancora elevati rispetto ad altri paesi dell’OCSE.
Guardando al futuro, nonostante la notevole incertezza dovuta alle perturbazioni del commercio globale, il tasso di disoccupazione dovrebbe rimanere stabile nel 2025 e nel 2026 mentre l’occupazione totale dovrebbe crescere rispettivamente dell’1,1% e dello 0,6%.


I salari reali stanno crescendo, ma c’è ancora margine di recupero.
I salari reali stanno crescendo praticamente in tutti i paesi dell’OCSE, ma nella metà di essi sono ancora inferiori ai livelli dell’inizio del 2021, prima dell’impennata dell’inflazione che ha seguito la pandemia.

L’Italia ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell’OCSE. Nonostante un aumento relativamente consistente nell’ultimo anno, all’inizio del 2025 i salari reali erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021 (vedi figura sotto).
Il rinnovo dei principali contratti collettivi nell’ultimo anno ha portato ad aumenti salariali negoziati superiori al solito. Tuttavia, questi non sono stati sufficienti a compensare completamente la perdita di potere d’acquisto causata dall’aumento dell’inflazione. Inoltre, all’inizio del primo trimestre del 2025, un dipendente su tre del settore privato era ancora coperto da un contratto collettivo scaduto.
Nel complesso, la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni. I salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia dovrebbero aumentare del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Questi aumenti sono significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’OCSE, ma dovrebbero garantire comunque ai lavoratori italiani modesti guadagni in termini reali, dato che l’inflazione dovrebbe raggiungere il 2,2% nel 2025 e l’1,8% nel 2026.

Contrastare gli effetti dell’invecchiamento sulla crescita
Le persone in tutto il mondo vivono più a lungo e più in salute che mai. Questo straordinario risultato, però, è stato accompagnato da un calo della fertilità, che ha portato a significativi cambiamenti demografici. Il numero di anziani per persona in età lavorativa aumenterà del 67% entro il 2060 in tutti i paesi dell’OCSE. La percentuale di persone occupate nella popolazione diminuirà, a meno che non cambino le politiche, rallentando la crescita annuale del PIL pro capite di 0,4 punti percentuali.

Si prevede che la percentuale di occupati rispetto alla popolazione totale diminuirà, intensificando la pressione sui sistemi economici e sociali.

Tra il 2023 e il 2060, la popolazione in età lavorativa in Italia diminuirà del 34%. Di conseguenza, il numero di anziani a carico per ogni persona in età lavorativa in Italia aumenterà da 0,41 (cioè un anziano a carico ogni 2,4 persone in età lavorativa) a 0,76 (cioè un anziano a carico ogni 1,3 persone in età lavorativa). Inoltre, nello stesso periodo il rapporto tra occupati e popolazione totale diminuirà di 5,1 punti percentuali (vedi figura sotto). Ipotizzando che la crescita annuale della produttività del lavoro rimanga al livello del periodo 2006-2019 (0,31% in Italia), ciò implica che il PIL pro capite diminuirà a un tasso annuo dello 0,67%.
Aumentare l’occupazione dei lavoratori anziani e promuovere la parità di genere sul lavoro potrebbe stabilizzare il rapporto occupazione/popolazione nella maggior parte dei paesi dell’OCSE. Tuttavia, la crescita del PIL pro capite continuerà a rallentare in molti paesi. Oltre a mobilitare il bacino di talenti non sfruttato, sarà importante promuovere la crescita della produttività per mantenere un livello di crescita vicino a quello del passato.

Mobilitare le risorse lavorative inutilizzate – per esempio colmando il divario di genere nell’occupazione di almeno due terzi e, soprattutto, attivando i lavoratori anziani in buona salute e promuovendo canali di immigrazione regolare – permetterebbe di bilanciare l’impatto negativo dell’invecchiamento della popolazione sulla crescita annuale del PIL pro capite (cioè di portare la crescita annuale del PIL pro capite dallo 0,67% allo zero). Per consentire una crescita del PIL pro capite, dovrebbe aumentare anche la produttività: se la produttività crescesse della metà del tasso osservato nell’OCSE negli anni ’90 (circa l’1%), la crescita annuale del PIL pro capite italiano potrebbe raggiungere un buon 1,34%. Tuttavia, questo obiettivo appare difficile per l’Italia, date le performance degli ultimi decenni.
Negli ultimi trent’anni, i baby boomer hanno goduto di una crescita del reddito significativamente più forte rispetto alle coorti più giovani. Se non si troverà modo di aumentare i redditi delle coorti più giovani, la disuguaglianza intergenerazionale crescerà.

In Italia, gli individui in età lavorativa più anziani (di età compresa tra 55 e 64 anni) hanno registrato una crescita del reddito più rapida rispetto ai giovani in età lavorativa (di età compresa tra 25 e 34 anni). Mentre nel 1995 il reddito disponibile equivalente delle famiglie dei giovani in età lavorativa era superiore dell’1% rispetto a quello degli italiani tra i 55 e 64 anni, nel 2016 la situazione si è ribaltata a favore dei lavoratori più anziani, che godono di un reddito superiore del 13,8% rispetto a quello dei loro colleghi più giovani.
Se l’Italia continuerà ad aumentare la durata della vita lavorativa, non solo sbloccherà risorse di manodopera, ma alleggerirà anche l’onere che grava sulle generazioni più giovani, che devono affrontare le sfide economiche dell’invecchiamento demografico mentre sperimentano un rallentamento della crescita del proprio reddito.

Le politiche del lavoro devono evolvere per aiutare i lavoratori a rimanere più a lungo nel mondo del lavoro
In quasi tutti i Paesi, l’occupazione sia maschile che femminile cala drasticamente dopo i 60 anni. Promuovere l’apprendimento permanente, garantire luoghi di lavoro sicuri, pensionamenti flessibili e pratiche inclusive da parte dei datori di lavoro è essenziale per aumentare l’occupabilità dei lavoratori anziani e prolungare la loro vita lavorativa.

Negli ultimi vent’anni (2000-2023) i tassi di occupazione dei lavoratori in età avanzata sono aumentati in modo significativo in tutti i paesi dell’OCSE. In Italia, ad esempio, i tassi di occupazione sono aumentati di 31,8 punti percentuali per le persone di età compresa tra i 55 e i 59 anni (rispetto a un aumento di 13,7 punti percentuali in tutta l’OCSE) e di 25,7 punti percentuali per le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni (rispetto a un aumento di 20,1 punti percentuali in tutta l’OCSE), essenzialmente grazie all’aumento dell’età pensionabile prevista dalla legge.
Le riforme pensionistiche devono essere accompagnate da sforzi volti a stimolare la domanda di manodopera e a garantire che i lavoratori rimangano occupabili per tutta la vita, anche nelle fasi finali della loro carriera. In molti paesi, l’età media di uscita dal mercato del lavoro rimane inferiore all’età pensionabile. È il caso dell’Italia, dove il divario è di 2 anni per le donne e di 1 anno per gli uomini (vedi figura sotto).
La possibilità di combinare il reddito da lavoro e quello da pensione può facilitare un pensionamento graduale; tuttavia, la percentuale di lavoratori anziani che continuano a lavorare dopo aver ricevuto la pensione è relativamente bassa nei paesi dell’OCSE per i quali sono disponibili dati. In Italia, solo il 9,9% dei lavoratori di età compresa tra i 50 e i 69 anni continua a lavorare quando riceve la pensione per la prima volta, rispetto a una media del 22,4% in altri 24 paesi europei dell’OCSE.
L’Italia ha una percentuale relativamente alta di lavori impegnativi dal punto di vista fisico (42%), che possono rappresentare una sfida per i lavoratori anziani, nonché una bassa percentuale di occupazioni altamente qualificate dove è maggiormente valorizzata l’esperienza (40%).

 

L'estratto Italia completo è disponibile in allegato.

Il libro completo è disponibile in inglese: OECD (2025), OECD Employment Outlook 2025: Can We Get Through the Demographic Crunch?, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/194a947b-en.

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