NOLEGGIO: CAMBIO CULTURALE ED ECONOMIA CIRCOLARE

C’è qualcosa di indefinito e affascinate che riguarda la diffusione del noleggio strumentale: lo sguardo che questo servizio oggi merita di ricevere dovrebbe assomigliare alla contemplazione di un orizzonte aperto, dove fondere ciò che sappiamo riconoscere con ciò che possiamo solo immaginare.

Il visibile, oggi, è innanzitutto riconducibile al cambio culturale in atto: non siamo nuovi a contesti in cui una rivoluzione culturale – anche solo una innovazione – impatti sulla economia e, viceversa, modelli economici proposti (o imposti) abbiano richiesto un cambio culturale. A tal punto, nel primo caso, da generare una vera e propria new economy; e una new culture, nel secondo.

Questa fusione restituisce giustizia a uno spettro dell’economia conosciuto come cultural economics, ovvero lo studio della relazione tra cultura e risultato economico: se definiamo, in questo contesto, la cultura come l’insieme dei valori e delle preferenze condivise, otterremo una serie di orientamenti e comportamenti, o attitudini, di consumo che risponderanno direttamente all’input culturale.

È un po’ come chiedere prosaicamente se “sia nato prima l’uovo o la gallina” (è l’economia che genera cultura o la cultura che fonda l’economia? ndr). Non è questa la domanda alla quale potremmo tentare di dare risposta. Non è questa la sede più adatta dove provare a farlo.

Tuttavia, è innegabile che il cambio culturale in atto – e fortemente connesso con la crescita esponenziale del noleggio – abbia generata una nuova visione economica, se non una nuova economia dell’approccio a tutto ciò che possa essere annoverato sotto il cappello di “bene, oggetto o strumento, grazie al quale possiamo fare qualcosa”.

L’ultimo trentennio ha visto le cosiddette economie solide (quelle occidentali, per accezione generale e generica) applicate alle organizzazioni e all’insieme delle persone che costituiscono le organizzazioni, raggiungere l’apogeo della loro espressione in virtù della capacità di possedere.

Per le organizzazioni, le aziende, non vi era nulla di più gratificante della possibilità di vantare sedi architettonicamente ampie e sfarzose: oggi, invece, si punta a ridurre gli spazi, renderli funzionali, concentrare le attività in superfici condivise e decentrare le attività collaterali presso poli dedicati (outsource). Lo smart-working, ovvero la possibilità di lavorare direttamente da casa, non vuole solo incrementare i criteri di sostenibilità legati alla vita professionale di un dipendente, ma vuole soprattutto limitare il numero di spazi, di tools e di servizi inevitabilmente e giustamente dedicati a chiunque abbia un lavoro e un luogo preciso dove svolgerlo. Risparmiare denaro, oppure utilizzarlo in modo diverso.              

Gli spazi più evoluti di co-working, nel frattempo,  sono riusciti a uniformare tutti i servizi propri a uno smart-office e offrirli attraverso pacchetti (segreteria, aule dotate di attrezzature professionali e particolari, aree dedicate all’intrattenimento, al relax, ai pasti…) accessibili a ognuno dei professionisti che scelgono di lavorare in un grande ufficio condiviso, dove il dirimpettaio (di desk) svolge un’attività completamente diversa dalla nostra eppure, esattamente come noi, gode della stessa segreteria, una delle stesse aule specifiche con strumenti utili al lavoro, della stessa sala relax…

Quando sono le aziende, magari start-up visionarie e non troppo corpose in termini di risorse umane, ad avere bisogno di tutti i servizi senza necessariamente avere una sede esclusiva dove collocarli e beneficiarne, la soluzione più immediata risponde al concetto di Hub o Polo Innovativo, Polo Tecnologico: spazi che ospitano più aziende e che spesso offrono servizi a trecentosessanta gradi; come gli spazi di co-working, ma più in grande.

Diventeremmo noiosi se facessimo notare come siano sparite le migliaia di ammiraglie in leasing che venivano affidate ai managers delle aziende fino a metà degli anni Novanta, a beneficio di flotte più nutrite, diversificate per categorie e dai costi studiati e pianificati con più attenzione e lungimiranza, che fanno capo alle società di noleggio a lungo termine che si occupano di automotive.

Riferendoci brevemente agli individui, a prescindere dalla loro professione, crediamo di non esagerare se affermiamo che il possesso non sia più di moda: i Millennials – parte dei quali, al lavoro, già siede in posizioni che permettono di prendere decisioni – deprecano il possesso fine a se stesso. Non lo reputano uno status-symbol, ma un chain-symbol (un simbolo catena, ovvero “incatenante”): possedere identifica un legame, e legarsi significa limitare la libertà; di spostamento, di azione, di scelta, di consumo. Questa attitudine sta impattando anche nell’ambito relazionale, ed è sotto gli occhi di tutti: anche le relazioni personali (non tutte, per fortuna! ndr) appaiono come amicizie a consumo, amori a consumo, esperienze a consumo. Appaiono agli occhi di quelli che hanno alle spalle un’esperienza di relazione ben diversa: ma per loro, i Millennials (e anche gli ultimi della X Generation, e tutti quelli della Z Generation che è e sarà) fare esperienza significa essere costantemente disposti ad archiviare il passato e simultaneamente cavalcare il futuro, in quella sorta di strano presente che non smette di evolvere, chiedere e dare input.

Sulla base di quanto appena proposto non è difficile pensare a un’economia di condivisione (è o non è il decennio della sharing economy?) e a un’economia fondata sul servizio che ruota attorno ai beni e non certo sui beni in quanto tali. Se poi volessimo – e non possiamo esimerci dal farlo – citare brevemente l’impatto, o ingerenza, o semplicemente componente imprescindibile, della tecnologia su qualsiasi bene oggi venga utilizzato indifferentemente dalle aziende o dagli individui, capiremmo ancora meglio quanto questi utilizzatori di beni desiderino stare sempre al passo coi tempi.

I mezzi ad alimentazione elettrica tra soli tre anni avranno autonomie di percorrenza, motorizzazioni e dotazioni completamente diverse da quelle odierne. Un computer, un tablet, uno smartphone appaiono superati poco più di un anno dopo la produzione. Chi viaggia per lavoro (ma anche per piacere) oggi si stupisce di (ri)trovare l’hotel in cui ha alloggiato un anno prima identico a come lo ricordava: è finita l’era della fidelizzazione e della fiducia fondate su ciò che permane, a vantaggio dell’era dove ciò che non può cambiare – ma, invece, deve sapersi adeguare e trasformare – è la qualità del servizio; non gli assetti che lo identificano o identificavano…

Potremmo andare avanti quasi all’infinito, ma ci auguriamo che il concetto sia chiaro: il noleggio risponde a questo cambio culturale che impatta sull’economia e non v’è dubbio che oggi le aziende inizino a interessarsene e non siano più soggetti passivi in attesa che qualcuno proponga loro beni a noleggio, ma soggetti attivi che richiedono la possibilità di noleggiare qualsiasi bene.

È il caso di dedicare un breve accenno anche all’invisibile, ovvero a ciò che avevamo identificato, all’inizio del nostro articolo, con ciò che possiamo solo immaginare. Si tratta, in realtà, di un pensiero astratto che le aziende più illuminate stanno rendendo concreto: coloro i quali producono, commercializzano, forniscono beni agli utilizzatori – sulla base delle dinamiche di consumi veloci e soggetti a costante rinnovo – hanno intuito come al termine del periodo di locazione possa avere senso riacquistare quel bene a un valore percentuale che non definisce il valore residuo della vita di quel bene in un tempo definito, ma ne determina solamente il valore attribuito alla possibilità di re-immetterlo sul mercato.

Rientreranno così in possesso di un bene che non sarà a “fine vita” in termini assoluti, ma lo sarà in termini relativi all’utilizzo che il conduttore del bene ne ha fatto fino a quel momento. Quei beni, in poche parole, potranno essere ricondizionati e re-immessi sul mercato dell’usato-ricondizionato (o semplicemente su un mercato diverso dal precedente), generando ulteriori margini di profitto. L’economia circolare è in crescita esponenziale, poiché la velocità di utilizzo dei beni e il desiderio di rinnovo costante non implica che i beni siano qualitativamente meno validi o necessariamente programmati per una veloce obsolescenza. Sono beni che qualcuno non usa più per svariate ragioni, eppure conservano gran parte delle caratteristiche che ne rendono possibile un utilizzo gratificante.

Se il noleggio sarà stato apprezzato dal cliente (ovvero l’utilizzatore o conduttore), con ottime probabilità il cliente stesso richiederà un bene aggiornato rispetto a quello che ha utilizzato e il cui noleggio è terminato per soddisfare l’esigenza pratica di un bene d’ultima generazione, dando soddisfazione a quella più impulsiva che ci vede appagati quando sappiamo di utilizzare qualcosa di nuovo.

A quel punto se il fornitore avrà saputo gestire il percorso di fidelizzazione del proprio cliente – garantendo tutti i servizi inclusi che lui stesso aveva inclusi nel noleggio per il periodo di locazione – continuerà a servirlo proponendo ulteriori beni con la stessa dinamica.

Ecco che la visione amplifica il proprio spettro ed ecco che il noleggio suscita interesse non solo per i fondamenti culturali che lo sorreggono e che il noleggio stesso supporta, ma per una serie di vantaggi reali – operativi, economici, fiscali e strategici – capaci di impattare in modo significativamente positivo nel conto economico di un’azienda o di un professionista.

Gli autori di questo articolo fanno capo a una realtà che crede nel noleggio di tutti i beni da quasi venti anni: crediamo di avere accelerato il business di moltissime PMI italiane e di avere costruito con attitudine sartoriale numerosi progetti di noleggio, provando con grande impegno a partecipare alla diffusione della cultura della locazione ed essere tra i protagonisti della crescita del comparto.

Chiunque abbia trovato accattivante questo articolo e senta la propria curiosità solleticata potrà con piacere contattarci e capire se può beneficiare del nostro supporto.

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