Il 10 settembre 2019 la Corte di Cassazione ha depositato l'Ordinanza n. 22559 in cui ha deciso un caso interessante riguardante un soggetto privo di patrimonio che può assumere il ruolo di fideiussore.
La Corte di Cassazione, sez. I Civile, con Ordinanza n. 22559 depositata il 10 settembre 2019, ha deciso un caso interessante per il ceto bancario (e sul quale, come vedremo, non è stata affatto scritta la parola “fine”).
Era accaduto, invero, che l’istituto bancario avesse concesso un finanziamento, garantito da ipoteca, su immobili che erano stati donati ad un soggetto dal proprio padre: quest’ultimo, a seguito di tale atto di donazione, si era spogliato di tutti i suoi beni.
La banca aveva richiesto che il padre rilasciasse una fideiussione in favore della banca.
La moglie del suindicato fideiubente, rimasta vedova, conveniva in giudizio la banca sostenendo che la fideiussione era stata prestata unicamente per impedire l’utile proposizione dell’azione di riduzione, violando in tal modo l’art. 557 c. c. ed il principio di ordine pubblico della intangibilità della quota di legittima.
Il Tribunale Mantova, sez. II, con sentenza del 24/02/2011, n. 228, rilevata l’elusione della norma imperativa di cui all’art. 549 c. c., espressione del principio di intangibilità e irrinunciabilità preventiva delle azioni spettanti all’erede legittimo, dichiarava la nullità, per frode alla legge, del “contratto di fideiussione”.
La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 1004/14 del 19.08.2014, respingeva l’appello dell’istituto bancario.
Invero, la Corte d’Appello – seppur ritenendo non provata l’intenzione dei soggetti interessati di violare una norma inderogabile e né, tantomeno, che vi fosse prova del motivo illecito comune ex art. 1345 c.c., che peraltro presuppone la bilateralità dell’accordo, mentre, la fideiussione è stipulata con atto unilaterale – confermava però la sentenza di primo grado proponendo una differente motivazione, in quanto riteneva che la nullità della fideiussione dovesse dichiararsi per la mancanza di uno degli elementi costitutivi del negozio, in particolare, della causa, dal momento che l’incapienza del patrimonio del padre precludeva di fatto il conseguimento dello scopo pratico della fideiussione.
L’istituto bancario ricorreva per cassazione contro la predetta sentenza della Corte bresciana affidando l’impugnazione ad un unico motivo. Controparte resisteva con controricorso.
La banca lamentava come erroneamente la Corte di Appello avesse ritenuto nulla la fideiussione per mancanza di causa, in quanto il garante non era in grado, per le proprie condizioni economiche, di fornire alcuna garanzia aggiuntiva personale alla banca da aggiungersi alla garanzia reale ipotecaria iscritta sui beni del debitore principale, cioè, il figlio.
Infatti, secondo la banca ricorrente, la fideiussione è un negozio avente efficacia esclusivamente obbligatoria che non presuppone alcuna attuale solvibilità in capo al fideiussore che la pone in essere.
La Corte di Cassazione – com’era d’altronde prevedibile – ha accolto tale motivo di ricorso, atteso che la causa del negozio di fideiussione, e cioè, lo scopo concreto dell’operazione negoziale, resta la funzione di garanzia di un debito altrui, sicchè la stessa non può ritenersi mancante se prestata da soggetto incapiente.
Epperò, la Corte di Cassazione non ha affatto definito il giudizio con una sentenza di cassazione senza rinvio, bensì ha cassato la sentenza di appello con rinvio alla Corte di Appello affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
Ed è qui che arriva il difficile.
Invero, dinanzi alla Corte di Cassazione il Procuratore Generale aveva rassegnato conclusioni scritte nel senso della nullità del negozio in questione, da qualificare atipico, per difetto di meritevolezza, ai sensi dell’art. 1322 c.c.: quindi, chiedendo che la Corte di Cassazione dichiarasse la nullità sotto ulteriore profilo. Epperò, la Corte – nel cassare con rinvio alla Corte di Appello affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia – ha dichiarato che la questione di nullità sollevata dal Procuratore Generale resta assorbita da tale pronunzia di cassazione con rinvio.
Ne deriva come, in sede di rinvio, la Corte di Appello si troverà ad esaminare questo ulteriore profilo di nullità (trattandosi di un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, come statuito da Cassazione civile, sez. un., 22/03/2017, n. 7294; in precedenza, Cass., Sez. Un., n. 26242 del 2014, aveva statuito che: “Nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo“).
Ciò sta a significare che la partita è ancora aperta, sicchè resta in bilico la legittimità di tale modus operandi da parte del sistema bancario.
D’altronde, più in generale, l’esigenza di tutelare l’acquirente di beni provenienti da donazioni è stata sempre avvertita, ma senza trovare soluzioni efficaci; e ciò fino a quando il legislatore non si deciderà a modificare le norme del codice civile in materia successoria, contemperando gli interessi dei soggetti aventi interessi confliggenti (legittimari da una parte ed acquirenti e creditori ipotecari dall’altra parte).
Invero, è noto come non costituisca un rimedio risolutivo al problema della circolazione degli immobili donati la riforma, avvenuta nel 2005, degli articoli 561 e 563 del codice civile e cioè che dopo 20 anni dalla trascrizione della donazione nei Registri Immobiliari il legittimario leso nei suoi diritti di legittima, non potrà soddisfarsi sui beni donati (chiunque sia il loro attuale proprietario) se non trova soddisfazione nel patrimonio del donatario.
Ed allora – in attesa che il suindicato giudizio trovi il suo epilogo (e, si badi bene, la sentenza che verrà emessa in sede di giudizio di rinvio potrà essere, a sua volta, impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, dilatandosi così i tempi di decisione di un giudizio che potrà costituire un’utile punto di riferimento) – ci si deve interrogare quale strategia possa attuare il soggetto che intenda ridurre al minimo i suindicati rischi e se sussistano, quindi, strumenti alternativi di tutela.
Ebbene, da qualche anno, sul mercato, hanno fatto la loro apparizione delle polizze assicurative che sono volte a coprire proprio i rischi derivanti dall’acquisto e/o finanziamento dei beni di origine donativa.
In tal guisa l’acquirente o l’istituto bancario mutuante vanno ad assicurare il rischio del danno patrimoniale che subirebbero nell’ipotesi in cui il legittimario proponga l’azione di riduzione e quella conseguente di restituzione.
Pure interessante è rilevare come tale rischio venga coperto senza scadenze temporali.
Certo, trattasi di un rimedio, per così dire, succedaneo, atteso che la strada maestra sarebbe una riforma legislativa che innovasse questa materia che, da tempo costituisce un rilevante intralcio alla libera circolazione dei beni.
E, paradossalmente, poiché da tempo si parla di “bancassicurazione” la soluzione prospettata potrebbe costituire un settore sul quale gli istituti bancari potrano puntare per ampliare i loro mercati (ovviamente, la banca mutuante, quale soggetto assicurato, dovrebbe rivolgersi a diversa società assicuratrice, non essendo ammissibile la coincidenza tra assicuratore e soggetto assicuratore).