Legittimità del rimborso degli oneri fideiussori? l'Avv. Cassazionista Francesco Falcitelli, già dieci anni fa ne aveva intuito l'applicabilità, proponendo un giudizio pilota a una primaria società di leasing
È dovuto il rimborso del costo sostenuto dai contribuenti per il rilascio delle garanzie fideiussorie richieste dall’Amministrazione finanziaria anche quando sono presentate per i rimborsi dei crediti di imposta?
Ne parliamo con Francesco Falcitelli, avvocato Cassazionista, esperto di contenzioso tributario, che circa dieci anni fa ha avuto l’intuizione di ritenere applicabile la disciplina prevista per il ristoro dei costi delle fideiussioni ai rimborsi dei crediti iva in via anticipata, proponendo di intraprendere un giudizio pilota a una primaria società di leasing.
Il giudizio si è definito con una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 5508, depositata il 28 febbraio 2020, che ha espressamente riconosciuto il diritto dei contribuenti al rimborso di tali oneri.
Le questioni risolte dalla richiamata pronuncia non riguardavano unicamente il riconoscimento del diritto al rimborso delle specifiche spese sostenute dai contribuenti, ma anche la diretta applicazione, in assenza dei decreti attuativi, della disposizione contenuta nello Statuto dei diritti del contribuente, con cui era stato introdotto il principio dell’integrità patrimoniale, oltre alla corretta individuazione dei termini di decadenza dell’azione di rimborso e all’esatta identificazione della giurisdizione competente per materia ad esprimersi sull’esistenza o meno di tale diritto.
Il principio di integrità patrimoniale
Con l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212/2000) il legislatore ha inteso tutelare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, ovvero l’esigenza di non far ricadere sugli stessi il costo della garanzia fideiussoria presentata a favore dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare, il citato articolo 8, al comma 4, prevede che: “L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata”.
Tale norma sancisce l’obbligo per l’Agenzia delle Entrate di effettuare il rimborso dei costi che il contribuente ha dovuto sostenere per ottenere:
Dalle tre citate ipotesi, emerge che il rimborso degli oneri in questione mira a ricomporre lo squilibrio patrimoniale che si crea fra Amministrazione Finanziaria e contribuente ogni qualvolta quest’ultimo debba sostenere dei costi al fine del riconoscimento di un legittimo diritto; squilibrio patrimoniale che se può ritenersi giustificato fin quando sussiste il pericolo per l’Erario di perdere il suo credito, non ha ulteriore motivo di esistere una volta che sia appurata definitivamente la posizione giuridica del contribuente, ovvero sia decorso il termine per effettuare il relativo controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Dall’esame delle ipotesi previste dal legislatore in cui l’Amministrazione finanziaria è tenuta a lasciare indenne il contribuente dai costi che lo stesso ha dovuto sostenere per il rilascio di una fideiussione, vi è proprio quella del rimborso dei tributi, come nello specifico caso oggetto del giudizio conclusosi con l’ordinanza in commento.
Momento in cui si perfeziona il diritto al rimborso
L’unica condizione che la norma pone, attiene al momento di esecuzione del rimborso del costo sostenuto per la fideiussione prestata dal contribuente.
Il secondo periodo dell’art. 8, comma 4, dispone, infatti, che “Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata”.
Ebbene, tale momento coincide con quello in cui l’Amministrazione Finanziaria decade dal potere di accertamento, e non ha nessun collegamento di sorta con la natura del credito vantato del contribuente.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate sosteneva che la disposizione avrebbe dovuto trovare applicazione solo nelle ipotesi di garanzia prestata in relazione ad imposte non dovute o dovute in misura minore.
La Cassazione, nella pronuncia in esame, ha, invece, riconosciuto applicabile la richiamata disposizione contenuta nello Statuto dei diritti dei contribuenti a tutte le ipotesi in cui la prestazione di garanzie è prevista come obbligo normativo, ossia la sospensione del pagamento dei tributi, la rateizzazione o il rimborso e ha spiegato che una diversa interpretazione contrasterebbe con la finalità della disposizione contenuta nell’art. 8 della l. n. 212/2000, diretta a preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima richiesta di rimborso di somme dovute, contrastando con il diritto unionale.
Tale assunto, secondo la Corte, si pone, infatti, nel solco della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea che ha stabilito che gli Stati membri, pur godendo di una certa libertà nella determinazione delle modalità di rimborso delle eccedenze IVA, non devono far correre alcun rischio finanziario ai soggetti passivi.
Alcuna distinzione pone l’art. 8, comma 4, in merito alla tipologia di rimborsi per i quali l’Amministrazione Finanziaria è tenuta a rifondere il contribuente dei costi sostenuti al fine di ottenere il rimborso.
Né, tantomeno, alcuna distinzione, viene operata fra ipotesi di “indebito oggettivo” e ipotesi di “rimborso anticipato di Iva a credito”.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate aveva, invece, sostenuto che il costo sostenuto dalla società non doveva considerarsi rimborsabile in quanto attinente al rimborso in via anticipata dell’IVA a credito, e non già ad un’imposta non dovuta o dovuta in misura minore.
Ad avviso dell’Erario l’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente avrebbe previsto che presupposto del rimborso sarebbe una precedente istanza (di rimborso, sospensione o rateizzazione) unitamente al definitivo accertamento in merito alla non debenza dell’imposta, ovvero alla debenza in misura inferiore rispetto a quella accertata.
Conseguentemente, sempre secondo l’Amministrazione finanziaria, il diritto al rimborso ivi contemplato avrebbe riguardato esclusivamente gli oneri relativi alle fideiussioni prodotte dal contribuente nell’ambito dell’attività di accertamento, ossia a fronte di avvisi di accertamento o rettifica dai quali fosse scaturita una maggiore “imposta accertata”, la quale venisse successivamente annullata o rideterminata con sentenza definitiva. A suffragio di tale interpretazione l’Agenzia delle Entrate richiamava la lettera dell’art. 8, co. 4, in cui è contenuta la locuzione “sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata”.
Per l’effetto, sempre secondo l’Erario, tale disposizione non avrebbe potuto essere estesa analogicamente anche al costo delle garanzie presentate “volontariamente” per ottenere il rimborso cd “anticipato” del credito IVA annuale esposto in dichiarazione, ai sensi degli artt. 30 e 38-bis del D.P.R. n. 633/1972.
Come anticipato la Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso erariale, riconoscendo l’applicabilità dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente a tutte le ipotesi in cui la prestazione di garanzie è prevista come obbligo normativo.
La Corte ha, inoltre, ricordato che l’Italia ha già subito una procedura di infrazione proprio sul procedimento adottato per l’esecuzione dei rimborsi dei crediti IVA.
Applicabilità del principio di integrità patrimoniale in assenza dei decreti attuativi
Il comma 6 del citato art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede che le disposizioni di attuazione dell’articolo sarebbero state adottate con un decreto del Ministro delle finanze che però non è mai stato emanato, con l’effetto di generare incertezza sull’applicabilità delle disposizioni contenute nel medesimo articolo.
In particolare, si sono viste contrapposte da un lato l’Amministrazione finanziaria, che sosteneva l’inapplicabilità dell’art. 8 in assenza del relativo regolamento di attuazione, e dall’altro i contribuenti, che lamentavano la lesione di un diritto espressamente riconosciuto da parte del legislatore.
La questione afferente la necessità o meno delle disposizioni di attuazione della norma dipendeva dal grado di autosufficienza della stessa.
Andava, cioè, valutato se la disposizione contenesse gli elementi idonei a renderla comprensibile all’interprete, evitando, in caso contrario, di considerarla priva di efficacia.
Nell’effettuare tale analisi andava, quindi, considerato se al regolamento di attuazione fosse rinviata l’esecuzione di una parte essenziale del precetto normativo.
A tali questioni fornì una prima risposta il Tribunale Civile di Trieste, con la sentenza del 3 dicembre 2007, n. 1443, che riconobbe nelle prescrizioni della norma piena autonomia in considerazione del fatto che in essa era contenuta l’indicazione dell’oggetto del rimborso, a chi spettasse, a quali condizioni e chi fosse obbligato.
Il Tribunale di Trieste affermò che al regolamento doveva quindi riconoscersi che fossero demandate questioni marginali, come le modalità pratiche del rimborso, che non incidevano sulla fattispecie normativa, aggiungendo, che subordinare l’efficacia della norma all’approvazione del regolamento da parte del Ministero avrebbe comportato l’attribuzione a quest’ultimo del potere di stabilire se e quando sarebbe entrata in vigore, in manifesta violazione dei principi costituzionali.
Successivamente la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, con la sentenza del 15 gennaio 2008, n. 2, ha affermato che l’assenza dei decreti attuativi non poteva rappresentare condizione ostativa all’immediata efficacia delle disposizioni contenute nell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente.
Con la richiamata pronuncia, nel respingere l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato il diritto al rimborso del predetto costo, i giudici della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia hanno sancito che “la disciplina posta dal richiamato art. 8 della legge 212/2000 introduce nell’ordinamento giuridico un vero e proprio diritto soggettivo in capo al contribuente, del quale mira a tutelare l’integrità patrimoniale, come recita la stessa rubrica”.
Sulla questione è poi intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza del 17 giugno 2009, n. 14024, in cui aveva confermato che l’art. 8, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212 impone all’Amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente abbia dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi e, addirittura, che tale diritto sussiste anche per periodi di imposta precedenti all’entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente.
Sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19751/2013, ha chiarito che il dato testuale dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente e l’interpretazione della disciplina ivi contemplata non possa presentare alcun impedimento (mancanza dei decreti attuativi) per gli uffici dell’Amministrazione finanziaria al fine di eseguire autonomamente il rimborso nei confronti del contribuente degli oneri di cui è causa, in quanto, la fattispecie e le obbligazioni in capo all’Amministrazione finanziaria sono compiutamente definite dalla disposizione di legge e non necessitano di alcuna integrazione trattandosi di attività a forma vincolata che esclude di per sé ogni e qualsiasi spazio discrezionale.
Termine di decadenza dell’azione di rimborso
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate doveva ritenersi applicabile alla fattispecie il termine biennale previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546/92 previsto per la restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori.
Secondo l’Erario il presupposto cui sarebbe ancorato il sorgere del diritto al rimborso del costo della fideiussione sarebbe rappresentato dalla scadenza della fideiussione stessa da ancorarsi al termine previsto per l’accertamento ex art. 57 D.P.R. n. 633/1972.
A suffragio della propria tesi la difesa erariale aveva equiparato la fideiussione alla cauzione.
Nella pronuncia in commento, La Corte ha, però, stabilito che mentre la cauzione è una garanzia reale, consistente nel versamento di titoli o somme di denaro di proprietà del debitore a favore del creditore, la polizza fideiussoria non mira a garantire l’adempimento dell’obbligazione principale ma a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore: la prestazione che ne è oggetto è quindi qualitativamente altra rispetto a quella oggetto dell’obbligazione principale.
Per tale ragione la polizza fideiussoria non può considerarsi accessoria al rapporto d’imposta e per l’effetto non può essere applicato all’azione di rimborso dei relativi costi il termine biennale previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546/92.
Giurisdizione competente per materia
Altra questione che si poneva era la corretta individuazione della giurisdizione competente per materia.
Nella sentenza emessa dal Tribunale di Trieste era stato ritenuto che, poiché i premi assicurativi delle fideiussioni non hanno, evidentemente, natura di imposta o tributo, vengono, infatti corrisposti a un privato e non alla Pubblica Amministrazione, il loro rimborso doveva configurare un credito di natura risarcitoria, in quanto diretto a indennizzare il contribuente per un esborso, di natura privatistica, a cui era stato costretto a causa di una richiesta della P.A. rivelatasi illegittima.
Il ragionamento seguito dal giudice ordinario muoveva dalle prescrizioni contenute nell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 che limita espressamente la competenza delle Commissioni tributarie ai contenziosi che hanno per oggetto i tributi e i loro accessori.
E’ indiscutibile che i costi della fideiussione non siano tributi.
Per quanto riguarda, invece, gli accessori, il Tribunale di Trieste aveva indicato che con tale espressione devono intendersi unicamente le domande consequenziali al credito o al debito d’imposta, quali gli interessi, gli aggi esattoriali, le spese di notifica e la svalutazione monetaria, con la conseguenza di ritenere esclusa la competenza delle Commissioni tributarie.
Dal ragionamento sopra esposto il Tribunale triestino aveva concluso che doveva considerarsi legittimato a conoscere della controversia il giudice ordinario, in quanto dotato di competenza generale per le controversie non espressamente attribuite ad altri giudici.
Sul punto la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19751/2013, ha statuito che la giurisdizione per materia appartiene alle Commissioni tributarie.
A tal fine, la Corte ha richiamato quanto statuito dalle Sezioni Unite che avevano espressamente riconosciuto che, in base al principio di concentrazione della tutela, le Commissioni Tributarie possono riconoscere al contribuente non soltanto il rimborso delle imposte indebitamente versate, ma pure gli accessori come gli interessi ovvero il maggior danno o l’importo eventualmente pagato per la prestazione di cauzioni non dovute.
In sostanza, la Corte ha indicato che il costo del contratto di garanzia (fideiussione) si pone in relazione diretta – da cosa principale ad accessorio – con il rapporto giuridico d’imposta e, pertanto, il giudice tributario può conoscerne avuto riguardo al chiaro tenore dell’art. 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 con riferimento agli “accessori” dei tributi.
La pronuncia in commento ha implicitamente riconosciuto la competenza delle Commissioni Tributarie.