Secondo Confindustria l’intero sistema fiscale ha bisogno di una riforma, non solo l’IRPEF. Serve coraggio, metodo e l’impiego di maggiori risorse.
Oggi in audizione alla Camera, davanti alle Commissioni riunite delle finanze, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, abbiamo evidenziato la necessità di un progetto di riforma fiscale a tutto tondo.
Per la nostra organizzazione è intervenuto il Vice Presidente per il Credito, la Finanza e il Fisco Emanuele Orsini, che ha richiamato da un lato la necessità di evitare nuove imposte/oneri sulle imprese in questa congiuntura drammatica in cui molte aziende lottano per la sopravvivenza e, dall’altro, quella di salvaguardare le misure fiscali che incentivano produttività.
In sintesi, i contenuti e le proposte di Confindustria discusse in audizione.
- Serve un progetto di riforma a tutto tondo, partendo da tre nodi fondamentali:
- la portata dell’azione riformatrice: è l’intero sistema fiscale – e non solo l’IRPEF – che ha bisogno di una riforma.
- il metodo: ci vuole tempo, le riforme non si fanno con la decretazione d’urgenza;
- le risorse (e come reperirle), oggi ammontano, in media, a soli 2 miliardi l’anno nel 2022 e 2023. Sono risorse esigue. Recuperarne altre dall’evasione va bene, ma non offre garanzie. Servirà rimodulare il prelievo nelle imposte e tra le imposte del sistema fiscale.
- Oggi l’IRPEF – l’imposta principale del nostro ordinamento – sembra uscita dal bisturi del Dr. Frankenstein: parti estranee e incoerenti, tenute l’una all’altra solo dal filo ideale di tassare il reddito personale.
- Troppe le eccezioni all’IRPEF. I regimi sostitutivi vanno valutati uno ad uno e quelli che intendiamo mantenere vanno almeno coordinati con il regime normale.
- Restano dentro l’IRPEF prevalmentemente dipendenti e pensionati. Secondo i dati del MEF queste due categorie insieme fanno l’87% dei contribuenti IRPEF e versano circa l’81% dell’imposta totale.
- La progressività va ridisegnata. Con l’IRPEF attuale un dipendente che cerca di guadagnare un euro in più finisce col trovarsi in tasca pochi centesimi o, al limite, col peggiorare la propria situazione complessiva, perdendo bonus e detrazioni. Per un lavoratore dipendente l’aliquota marginale effettiva sopra i 28 mila euro è di oltre il 31% (quella legale è del 27%). Tra i 35 mila ed i 45 mila euro il prelievo effettivo arriva al 61%! (a fronte di un’aliquota legale del 38%). Questo sistema è un disincentivo al lavoro e alla produttività.
- Regolarizzare l’andamento delle aliquote effettive dell’IRPEF è una priorità. Nel farlo, va alleggerita la pressione sui redditi medi, eliminando i disincentivi ad aumentare il reddito, in particolare sopra i 28 mila euro, soglia oltre la quale l’attuale modello produce le distorsioni più ampie. La soluzione più agevole, a nostro avviso, è ridisegnare i parametri dell’imposta esistente, mantenendo un sistema ad aliquote e scaglioni, ma riducendo l’ampiezza dei “salti” di aliquota (in particolare tra secondo terzo scaglione) e applicando le detrazioni decrescenti in maniera più lineare rispetto al reddito (a partire da 28 mila euro).
- Vanno salvaguardate le misure fiscali che incentivano la produttività e il welfare aziendale. Alla luce di questi andamenti dovrebbero risultare chiare le ragioni dell’enfasi posta, negli anni, da Confindustria nella creazione di meccanismi di favore fiscale anche per i lavoratori dipendenti, come la detassazione dei premi di risultato o la normativa fiscale del cd. welfare aziendale. Qualsiasi intervento di riforma dell’IRPEF non può prescindere dalla salvaguardia e dal potenziamento di queste misure.
- Meglio pochi grandi incentivi e una tassazione bassa, che una giungla di bonus minuscoli o per pochi eletti. Il rapporto più recente sulle spese fiscali (2020) censisce 602 agevolazioni. La maggior parte operano esclusivamente (o anche) sull’IRPEF (196 misure - il 36.7% del totale). L’impatto in termini di mancato gettito è circa 40 miliardi di euro l’anno. Per le spese fiscali serve una revisione coraggiosa e puntuale sulla base di dati ed evidenze oggettive. Per ragioni di semplificazione ed equità potrebbe essere eliminata la galassia di “microagevolazioni”, con importi risibili o manciate di beneficiari e mantenuto un ristretto nucleo di spese fiscali, da classificare in ambiti (casa, famiglia, salute, etc.). Le risorse eventualmente recuperate devono andare integralmente a ridurre la pressione fiscale. Inoltre, le agevolazioni hanno un senso se “vivono” abbastanza da consentire la loro implementazione e fruizione e se hanno un’intensità tale da smuovere i comportamenti desiderati. I superbonus al 110% sono un esempio di questo corretto approccio. Si tratta di una misura potente e utile, ma che andrebbe estesa e rafforzata –consentendo l’accesso anche alle imprese – semplificando l’iter applicativo e la normativa.
- Siamo nel pieno di un inverno demografico e il nostro sistema fiscale non supporta abbastanza le famiglie. Vanno riformate le misure fiscali e gli altri strumenti per aiutarle, anche ispirandoci ad altri Paesi come Francia e Germania, pur con attenzione poiché entrambi i modelli non sono esenti da critiche.
- Non si può continuare a complicare la vita ai sostituti d’imposta. Le imprese fanno già da esattori per conto dello Stato, gratuitamente e tra mille complicazioni, ma c’è un limite ai compiti che possono svolgere. Sarebbe auspicabile quanto meno poter assolvere questi oneri in un quadro legislativo più chiaro e definito. Non vanno posti a carico delle imprese obblighi di controllo che spetterebbero all’Amministrazione finanziaria. Mi riferisco, in particolare, al compito, affidato alle imprese appaltanti, di verificare gli adempimenti cui le imprese fornitrici sono tenute in qualità di sostituti d’imposta. Non si può - per colpire pochi - chiedere a tutti adempimenti al limite dell’impossibile
- L’IRAP è un’imposta che ha fatto il suo tempo. Dopo la cancellazione temporanea dei versamenti del tributo dovuti nel 2020, il Legislatore ha un’occasione storica per eliminarla del tutto. Si avrebbero enormi benefici in termini di semplificazione e attrazione di nuovi investimenti.
- Anche la tassazione delle imprese va migliorata. Nel volume “il Coraggio del futuro: Italia 2030-2050”, presentato nei mesi scorsi, abbiamo indicato varie azioni concrete e siamo pronti a fare la nostra parte.
- Evitiamo di introdurre nuove imposte o oneri sulle imprese in questa congiuntura drammatica, in cui molte lottano per la sopravvivenza.
- Riguardo l’imposta patrimoniale il tema non è “SE” introdurne una, ma come riorganizzare le 17 che abbiamo già. Gran parte del dibattito sull’imposta patrimoniale in Italia si concentra intorno agli immobili residenziali e alla prima casa. Un catasto obsoleto – la cui riforma è lunga e costosa – la congiuntura attuale e le esperienze del passato invitano alla cautela.
- Per ricostruire un migliore rapporto con il Fisco si deve partire dal rispetto dei diritti dei contribuenti, c’è una legge al riguardo, e va applicata.