Il Professor Marcello Messori, nel suo articolo su Luiss Open affronta il tema dell’unificazione fiscale della UE. Come renderla efficace con il giusto bilanciamento di regole e discrezionalità.
Le previsioni di primavera, elaborate dalla Commissione europea, offrono un quadro di cauto ottimismo rispetto al potenziale di ripresa delle economie dell’area. Anche grazie a un uso differenziato delle risorse del ‘Recovery and Resilience Facility’ (Rrf), nel corso del 2022 i tassi attesi di crescita economica dei vari stati membri sono tali da consentire il recupero dei livelli reali di Pil vigenti prima della pandemia. È quindi ragionevole ritenere che, se non vi saranno recrudescenze del Covid-19 o altri shock negativi inattesi, sempre nel 2022 le istituzioni dell’Unione europea (Ue) cercheranno di definire nuove regole fiscali accentrate per sostituire, dall’anno successivo, il vecchio ‘Patto di stabilità e crescita’ di fatto sospeso ma mai abrogato. Al riguardo, gli esperti hanno avanzato da tempo varie proposte. In particolare, il Fiscal Board e vari accademici hanno auspicato che le complesse regole europee, basate su soglie massime dei rapporti fra deficit pubblici e Pil e su tassi annuali di riduzione degli eccessivi rapporti fra debito pubblico e Pil, vengano rimpiazzate da regole idonee a subordinare gli aumenti dei flussi di spesa pubblica ai tassi di crescita macroeconomica di medio periodo e al peso del preesistente stock di debito pubblico.
Questa ‘regola della spesa’, peraltro già presente nella normativa europea, è penalizzante per i paesi ad alto debito pubblico e a bassi tassi di crescita quali l’Italia. Per giunta, essa rischia di adattarsi male alla realtà post-pandemica che sarà caratterizzata da consistenti ma differenziati squilibri in molti bilanci pubblici nazionali della Ue (cfr. il grafico in pagina). Pertanto, se intendono trovare un’efficace soluzione al problema, le istituzioni europee sono chiamate a comporre due aspetti difficili da armonizzare. Primo: si devono mantenere criteri fiscali accentrati, che assicurino la sostenibilità dei debiti pubblici nazionali anche al venir meno della rete di protezione oggi assicurata dalle politiche monetarie espansive di emergenza della Bce. Secondo: si deve consentire ai paesi con eccessi di debito pubblico un adeguamento ai nuovi criteri fiscali accentrati mediante correzioni dei propri bilanci che siano compatibili con un’adeguata crescita nazionale. Insomma, le regole accentrate sono inevitabili ma non devono imporre tassi rigidi di riduzione degli squilibri di bilancio pubblico rispetto al Pil da realizzare in predefiniti lassi di tempo, perché tali regole comprometterebbero la crescita e finirebbero così per esacerbare il problema del debito pubblico.
Come mostrano le elaborazioni offerte – di recente – soprattutto da economisti francesi (per esempio: O. Blanchard, P. Martin, J. Pisani-Ferry e X. Ragot), vi sono vari tentativi di andare nella direzione appena detta. Questi tentativi si fondano, tuttavia, su modelli ancora troppo legati alla ‘regola della spesa’ e difficili da tradurre in politiche condivise. L’obiettivo è, comunque, quello di individuare nuove regole fiscali accentrate della Ue che offrano un buon compromesso fra il rigore, richiesto dalla stabilità di lungo periodo dell’area, e l’adattabilità alle specificità nazionali. Per raggiungere un tale obiettivo, la via più semplice consiste spesso nell’associare alla regola uno spazio istituzionale di discrezionalità; e la seguente proposta batte proprio questa strada.
Il vecchio ‘Patto di stabilità e crescita’ potrebbe essere sostituito da una regola fiscale composta da due elementi. Il primo elemento è costituito da test di sostenibilità di lungo periodo, a cui la Commissione europea sottopone annualmente il debito pubblico di ogni stato membro. La metodologia di tali test, decisa in modo trasparente dalle istituzioni europee, andrebbe basata su scenari con andamenti futuri alternativi di politica monetaria. Se i risultati non segnalassero problemi di sostenibilità per il debito pubblico di un dato paese, l’applicazione del secondo elemento della nuova regola fiscale si limiterebbe a raccomandare la prosecuzione delle politiche in atto. Se emergessero invece problemi di sostenibilità più o meno gravi e riflessi in un debito pubblico di ammontare eccessivo, la Commissione europea e il paese in esame sarebbero obbligati a concordare una serie di avanzi primari annuali (corretti per la fase ciclica) del relativo bilancio pubblico nazionale. Questi avanzi dovrebbero essere compatibili sia con adeguati tassi macroeconomici di crescita sia con correzioni graduali ma sostanziali del debito pubblico eccessivo. Qualora non si arrivasse a un accordo, il paese rimarrebbe sottoposto alle vecchie regole fiscali del ‘Patto di stabilità e crescita’ come definite dai regolamenti e dalle direttive europee del 2011-2013 (Six Pack, Two Pack). Qualora l’accordo raggiunto non permettesse di tenere insieme crescita e aggiustamenti di bilancio, la Commissione avrebbe l’onere di concordare e finanziare – senza aggravi per il debito nazionale – quegli investimenti aggiuntivi (pubblici o privati) e quelle riforme nel paese in grado di superare l’incompatibilità.
La proposta, qui abbozzata, è l’ideale prosecuzione del programma Rrf, limitato al caso dei paesi della Ue con debito pubblico eccessivo. Essa palesa che, alla base dei Piani nazionali di ripresa e resilienza e di Rrf, vi è il positivo ritorno a quegli ‘accordi contrattuali’ (contractual arrangement) già proposti dalla Commissione nel 2012 e poi ‘bruciati’ dai veti incrociati nazionali a metà del 2013. Tale proposta impone alla Commissione europea di contrarre, per conto della Ue, nuovo debito che andrà coperto con risorse proprie aggiuntive nel bilancio pluriennale europeo. Pertanto, essa dà sostanza alla tesi che Rrf sia un primo, ma irreversibile, passo verso un’unificazione fiscale della Ue. D’altro canto, è essenziale che la nuova regola fiscale sia protetta rispetto a comportamenti opportunistici da parte dei paesi beneficiari dei trasferimenti europei. Pertanto, se ostacolasse o non attuasse quegli investimenti e quelle riforme concordate e finanziate a livello europeo, il paese ricadrebbe sotto la vecchia regola fiscale. Per giunta, se non realizzasse ex post l’avanzo primario (corretto per la fase ciclica) alla base dell’accordo, il paese si dimostrerebbe incapace di correggere il proprio debito pubblico eccesivo e sarebbe, quindi, costretto a entrare nel tradizionale programma europeo di aiuto che è gestito dal Meccanismo europeo di stabilità e che include condizionalità macroeconomiche.
Marcello Messori è professore di Economia al Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss.