Quantitative Easing: tutto quello che serve sapere

La Corte Costituzionale della Germania ha affermato che le misure prese da un organo europeo - la BCE - "non sono coperte dalle competenze europee" e per questo "non potrebbero avere validità in Germania".

Quantitative Easing: tutto quello che serve sapere

Questa settimana, per la prima volta nella storia della Repubblica tedesca, la Corte Costituzionale del Paese ha affermato che le misure prese da un organo europeo - la BCE - "non sono coperte dalle competenze europee" e per questo "non potrebbero avere validità in Germania". Con questa sentenza, i giudici di Karlsruhe hanno dato tre mesi di tempo alla Banca Centrale Europea per fare chiarezza sul programma di acquisto dei bond, accogliendo parte del ricorso contro il varo del Quantitative Easing avvenuto nel 2015.

Ma facciamo un passo indietro. Che cos’è il Quantitative Easing? Come funziona?

Analizziamo insieme lo strumento di politica monetaria che sta facendo tanto discutere in questi giorni.

Che cos’è

Come funziona

Gli effetti

Il QE oggi

 

Che cos’è

Chiamato anche “Alleggerimento Quantitativo”, il Quantitative Easing (QE) è uno strumento di politica monetaria non convenzionale a cui le Banche Centrali - quindi non solo quella dell’Unione Europea - ricorrono per stimolare la crescita economica, produttiva, occupazionale e inflattiva degli Stati, ma anche per sostenerne il debito pubblico.

Perché si tratta di uno strumento non convenzionale? Perché non rientra tra le misure tipiche di politica monetaria, ma abbraccia la Forward Guidance, ossia una strategia comunicativa adottata dalle Banche Centrali per condizionare le aspettative dei mercati sul futuro andamento dei tassi di interesse, dell’inflazione, ecc..

In altre parole, una Banca Centrale come la BCE utilizza il Quantitative Easing per creare nuovo denaro e iniettarlo nel sistema finanziario ed economico per l’acquisto di alcune categorie di categorie di asset, e accrescere così la fiducia degli operatori di mercato attraverso la promozione di liquidità e prestiti.

Come funziona

Il Quantitative Easing segue uno schema ben preciso:

La Banca Centrale crea nuovo denaro
Il denaro viene utilizzato dalla stessa Banca Centrale per acquistare titoli
Acquistando i titoli, il loro prezzo sale e il loro rendimento scende
L’acquisto dei titoli comporta nuova liquidità alle banche e abbassa i tassi di interesse
Riducendo il costo dei prestiti (i tassi), la Banca Centrale cerca di stimolare gli investimenti e la ripresa.
 

Gli effetti

L’obiettivo è far girare nuovamente l’economia facendo pervenire il denaro nelle mani dei consumatori che lo spendono, il tutto secondo modalità controllate praticamente dalla Banca Centrale. Gli effetti positivi del Quantitative Easing sono riscontrabili soprattutto nel mercato finanziario, dal momento che il costo dei tassi si abbassa a seguito dell’acquisto dei titoli da parte della Banca.

Tuttavia, si deve anche considerare che, nel momento in cui una Banca Centrale ricorre troppo rapidamente al Quantitative Easing per aumentare l’offerta di denaro, l’eccesso di moneta sul mercato può comportare una svalutazione della moneta e, di conseguenza, una crescita dell’inflazioneGli istituti centrali, in aggiunta, sono organismi indipendenti che non possono forzare le banche a concedere denaro a individui e imprese e a riversarlo nell’economia reale: ciò significa che, se il denaro non giunge nelle mani dei consumatori perché le banche decidono di tenerlo in depositi, la missione del Quantitative Easing è fallita.

Il QE oggi

Le Banche Centrali ricorrono al Quantitative Easing in caso di necessità: ecco perché quest’anno, per far fronte all’emergenza pandemia, la BCE ha lanciato un maxi programma di acquisto di titoli del settore pubblico e privato da € 750 miliardi, chiamato PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme).

In questo contesto, il ricorso al Quantitative Easing ha sollevato diversi dubbi sulla tenuta dell’Eurozona e sul reale valore delle decisioni della BCE. In Germania, infatti, un gruppo di uomini politici e accademici conservatori ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale tedesca chiedendole di pronunciarsi in merito alla legittimità del Quantitative Easing. A loro dire, lo strumento ha fatto accumulare all’Eurosistema circa € 3.000 miliardi di titoli, costituendo di fatto un finanziamento diretto ai governi in violazione del principio di proporzionalità dei trattati europei, secondo cui l’azione dell’Unione deve essere limitata a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi fissati*.

In merito a questo punto, i giudici di Karlsruhe hanno dato all’istituto di Christine Lagarde tre mesi di tempo - previa uscita della Bundesbank dal programma - per provare che il Quantitative Easing e i relativi obiettivi di politica monetaria non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale risultanti dal piano. Non si sono quindi espressi negativamente, allineandosi alla decisione di legittimità adottata nel 2018 dalla Corte Europea, ma hanno chiesto alla Banca Centrale Europea di fornire la documentazione che dimostri che il bilanciamento tra benefici attesi ed effetti collaterali c’è stato: la BCE deve quindi provare di non aver comprato più del 33% di ogni singola emissione e di non aver detenuto più del 33% del debito negoziabile di un Paese con il Quantitative Easing - cosa che però non è più valida nell’ambito del nuovo piano ad hoc per l’emergenza pandemia.

Quale destino si prospetta quindi per l’Eurozona?

 

*Uno dei passaggi chiave della sentenza tedesca è il seguente: “Tuttavia, se gli Stati membri dovessero astenersi completamente dal condurre qualsiasi tipo di revisione «ultra vires», concederebbero agli organi dell’UE un’autorità esclusiva sui trattati anche nei casi in cui l’UE adotti un’interpretazione giuridica che equivarrebbe essenzialmente a una modifica del trattato o a un’espansione di le sue competenze. Laddove si verifichino, la prospettiva costituzionale potrebbe non corrispondere perfettamente alla prospettiva del diritto dell’UE dato che, anche ai sensi del trattato di Lisbona, gli Stati membri restano i «padroni dei trattati» e l’UE non si è evoluta in uno stato federale”.