DECRETO "NATALE": i ristoranti resteranno chiusi
L'orientamento del Governo per il prossimo Dpcm è quello di un blocco della ristorazione in tutta Italia nei giorni di festa. Fipe: "senza cene a Natale e Capodanno danno da 720 milioni, i ristori siano al 100%".
Si può ricevere la famiglia per il cenone? Si può andare a passare le Feste in un'altra Regione? E la tradizionale Messa della notte di Natale sarà a mezzanotte? Dallo shopping ai ristoranti, dalla scuola ai viaggi all'estero, sono in arrivo con il prossimo Dpcm le nuove regole per un dicembre diverso da tutti gli altri. Ecco, alla luce di quanto emerso finora, quali potrebbero essere le regole per questa fine del 2020.
CENONE E COPRIFUOCO - Nel prossimo dpcm dovrebbe rimanere per tutte le Regioni il coprifuoco dalle 22 alle 6 del mattino. Sembra non essere passata, al momento, la linea di un coprifuoco più permissivo per le vigilie delle feste maggiori, Natale e Capodanno. Rispetto ai tradizionali cenoni, non essendo possibile imporre obblighi nei luoghi privati, non si esclude che ci si limiti a raccomandazioni: non più di sei a tavola è l'indicazione di massima degli ultimi giorni. Naturalmente i commensali 'consigliati' sono i parenti stretti e i conviventi.
VIAGGI E SPOSTAMENTI - Nel prossimo dpcm dovrebbe valere il blocco della mobilità tra le Regioni anche tra 'gialle', con l'esclusione però della possibilità per i residenti di ritornare a casa. Sono comunque al vaglio del governo delle possibili deroghe: potrebbero valere, per esempio, per chi ha il domicilio in una regione diversa da quella di residenza, o per alcuni casi di ricongiungimento familiare. In ogni caso, però, la data di partenza dello stop agli spostamenti tra le Regioni dovrebbe partire da una data ancora da definire ma successiva al 4 dicembre, quando entrerà in vigore il nuovo dpcm. Per le Regioni arancioni e rosse dovrebbero rimanere le attuali prescrizioni: nelle rosse è vietato spostarsi anche da un Comune all'altro, mentre per le arancioni il confine degli spostamenti è quello regionale. Per chi nel periodo natalizio rientrerà dall'estero, infine, si pensa a una quarantena di 15 giorni. Resta il nodo se si potrà raggiungere o meno le seconde case. Per sciare, invece, tutto rimandato a dopo le Feste, dunque alla metà di gennaio.
NEGOZI E RISTORANTI - Per favorire lo shopping natalizio si pensa ad allungare gli orari dei negozi in zona gialla fino alle 21, purché però questo permetta di rispettare il coprifuoco che scatta alle 22. Per le altre zone, invece, dovrebbero rimanere in vigore le regole dei 'colori', con i negozi chiusi nelle rosse. Per quanto riguarda invece i ristoranti nelle zone gialle dovrebbe rimanere la chiusura alle 18, con blocco totale però a Natale e Santo Stefano. Passando alle regioni arancioni e rosse, bar e ristoranti dovrebbero rimanere chiusi tutto il giorno.
Fipe: "senza cene a Natale e Capodanno danno da 720 milioni, i ristori siano al 100%"
Senza le cene di Natale e Capodanno, i ristoranti rischiano di perdere 720 milioni di fatturato. È la stima di Fipe-Confcommercio, che chiede ristori al 100% per compensare le perdite subite. "Lo scorso anno 4,9 milioni di italiani hanno trascorso il 25 dicembre in uno degli 85mila locali aperti per l'occasione, spendendo 270 milioni di euro in tutto. A questi - calcola la Federazione - si aggiungono 445 milioni di euro spesi a Capodanno da 5,6 milioni di persone per il cenone, per un totale di quasi 720 milioni di euro". "Dicembre non è un mese come gli altri, da solo vale 7,9 miliardi di euro, praticamente il 20% dei fatturati di un anno. Quindi se si vuole impedire ai ristoranti di lavorare a cena, bisogna compensare le perdite al 100%, basandosi sui fatturati dello scorso dicembre", conclude Fipe puntualizzando che "l'idea di imporre un coprifuoco generalizzato alle 22 per tutte le feste natalizie, con lo stop a bar e ristoranti alle 18 il 25 e 31 dicembre non ha alcun senso né motivazione scientifica".
Stop allo sci, Confturismo: “a rischio 2,4 miliardi di consumi”
Chiudere gli impianti nei comprensori sciistici “costa” - tra alloggio, ristorazione, impianti sciistici, shopping, intrattenimento e servizi vari - circa 2,4 miliardi di euro solo nell’arco alpino tra dicembre e marzo. Una cifra a cui si devono aggiungere anche la mancata spesa per l’acquisto di accessori, abbigliamento e attrezzature per lo sci e l’ulteriore perdita di spesa complessiva derivante dalle altre località sciistiche del nostro Paese. È una situazione che preoccupa fortemente imprese e lavoratori del settore, che corrono il rischio di vedere compromessa la stagione invernale e che rende necessario e urgente un “coordinamento neve”, anche a livello europeo. È la posizione di Confturismo-Confcommercio, che sottolinea che “in condizioni di normalità il numero di presenze turistiche complessive atteso nello stesso periodo in quell’area, inteso come numero di notti a destinazione, è di circa 20 milioni. Cifra che contempla anche il numero dei turisti presso le seconde case di proprietà ed esclude gli ‘escursionisti’, cioè coloro che vanno e vengono in giornata senza pernottare”.
“E anche nell’ipotesi di una riapertura degli impianti – conclude Confturismo – sempre tenendo conto delle restrizioni alla mobilità dei turisti sia per l’ingresso dai confini nazionali sia per lo spostamento tra regioni/aree del Paese, verrebbero a mancare oltre 12 milioni di notti a destinazione, pari ad una perdita stimata di spesa di almeno 1,7 miliardi di euro”.
Confcommercio Trentino: "non solo sci, a rischio tutto il settore"
La questione dell’apertura degli impianti di risalita non è un fatto circoscritto agli sciatori o alle piste: in gioco c’è l’intero settore del terziario che, tra turismo e commercio rischia un danno di 1 miliardo di euro. Confcommercio Trentino, per bocca del presidente Giovanni Bort, chiede che vengano assunte scelte in modo estremamente responsabile e ponderato, considerando in maniera realistica e accurata l’impatto che far saltare o anche solo rinviare la stagione invernale provocherà sul Trentino. No alle chiusure indiscriminate, dunque, e si faccia un’analisi seria che salvaguardi le imprese.
"Non è solo una questione limitata alle piste. Lo sci per il Trentino - spiega Bort - significa alberghi, bar, ristoranti, negozi, grossisti, servizi. È ormai acclarato che il turismo valga un 20% del nostro Pil. Chiudere gli impianti significa far chiudere per sempre centinaia di imprese, con un effetto a cascata incalcolabile sull’intera economia provinciale".
"Chiediamo - è l’appello del presidente di Confcommercio Trentino - che si valuti rigorosamente ogni possibile opzione, consapevoli dell’efficacia dei protocolli attuali e di altri possibili, sottoscritti ad hoc per far funzionare la 'macchina' del turismo invernale. Di certo non accetteremo una chiusura come via più semplice. Mi fa piacere che la Giunta provinciale dimostri sensibilità verso la questione e sia al fianco degli operatori: abbiamo bisogno che Governo ed Europa riflettano attentamente e lavorino per garantire questa stagione turistica. Una stagione che già in queste condizioni porterà cali a due cifre: annullarla sarebbe il disastro".