Le Banche centrali e la finanza per lo sviluppo sostenibile
Il Governatore Visco interviene alla presentazione del rapporto ASviS 2023. Quale può essere il contributo del settore finanziario? Cosa ci si può ragionevolmente aspettare da banche centrali e autorità di vigilanza?
L’urgenza del problema del cambiamento climatico e le sue conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. In varie regioni del mondo sono state registrate nell’ultimo trimestre temperature eccezionalmente elevate. Secondo le rilevazioni disponibili, lo scorso settembre la temperatura media globale ha superato di circa 1,8 gradi centigradi i valori medi, per lo stesso mese, dell’era preindustriale, convenzionalmente identificata con la media della seconda metà dell’Ottocento. Oltre a rappresentare un nuovo massimo, questa è la quattordicesima volta (quattro nel solo anno in corso) che l’eccesso di temperatura in un singolo mese rispetto al benchmark preindustriale è pari o supera 1,5 gradi, valore che nelle valutazioni della comunità scientifica rappresenta una soglia critica da non eccedere. Con elevata probabilità il 2023 risulterà l’anno più caldo, con una temperatura media di almeno 1,5 gradi superiore a quella dell’era preindustriale. Il riscaldamento del pianeta porta al susseguirsi di eventi catastrofici. La scorsa primavera il Canada veniva flagellato da vasti incendi che distruggevano oltre 13 milioni di ettari di foreste. Nelle prime settimane di settembre abbiamo assistito alle gravi, in alcuni casi devastanti, precipitazioni e inondazioni che si sono abbattute su diversi paesi del Mediterraneo. Non si tratta di eventi occasionali, confinati in un anno particolarmente sfortunato. Due anni fa, durante i lavori della Presidenza Italiana del G20, intervenendo su questi stessi temi, ricordavo le alluvioni in Belgio e Germania, il periodo di freddo intenso in Texas (che causò gravi interruzioni negli approvvigionamenti di energia elettrica), le ondate di caldo e gli incendi che colpivano l’Europa meridionale a fine estate e gli effetti dell’uragano Ida sulla costa Nord-orientale degli Stati Uniti. Anche se si tratta solo di alcuni esempi, gli eventi catastrofici sono di certo sempre più frequenti. Recentemente l’Agenzia internazionale dell’energia ha ribadito che per frenare questa tendenza e per porvi auspicabilmente rimedio è necessario raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra su scala globale entro la metà del secolo: un compito tanto urgente quanto non procrastinabile, poiché ritardi nell’azione potrebbero non solo essere estremamente costosi, ma anche compromettere la nostra capacità di scongiurare gli scenari più avversi. Con l’avvicinarsi della ventottesima Conferenza delle parti (COP28) e nonostante l’ampio accordo sugli obiettivi da raggiungere entro la metà del secolo, ’impegno dei singoli paesi nella riduzione delle emissioni è ancora insoddisfacente. Ne riferisce un documento di sintesi del Global Stocktake, l’esercizio quinquennale previsto dall’Accordo di Parigi entrato in vigore nel novembre 2016, che ha lo scopo di valutare i progressi nell’azione per il clima a livello globale. A fronte di queste cattive notizie possiamo ricordarne qualcuna non negativa: lo stesso documento mette infatti in luce i progressi compiuti dal 2016. Le politiche in atto portano oggi a prevedere per la fine del secolo un aumento delle temperature globali rispetto al benchmark preindustriale pari a 2,4-2,6 gradi, ben al di sotto di quanto ci si attendeva nel 2010 (3,7-4,8). Una transizione di successo richiede quindi uno sforzo maggiore e una più stretta cooperazione globale, ma non deve essere percepita come una meta irraggiungibile. Ma quale può essere il contributo del settore finanziario? E cosa ci si può ragionevolmente aspettare da banche centrali e autorità di vigilanza? L’azione globale e nazionale per garantire una transizione “ordinata” Un processo epocale come quello del progressivo abbandono delle fonti fossili, la cui affermazione è dovuta alla loro elevata densità energetica, alla facilità di stoccaggio e a condizioni di trasporto relativamente semplici, deve essere governato e ne vanno valutate le conseguenze sui soggetti più vulnerabili. Per questo è necessario pianificare il processo di transizione e migliorare la capacità del tessuto economico e sociale a rispondere al cambiamento climatico. Da un lato, bisogna investire nella conservazione dell’energia, riducendo la pressione della domanda e delle attività produttive sull’ambiente e continuando a perseguire un progressivo e sensibile calo dell’inquinamento; dall’altro, sono necessari interventi decisi, volti a ridurre l’impatto degli eventi estremi sulle nostre attività e sul benessere, rafforzando la capacità di tenuta delle infrastrutture e incentivando i programmi di assicurazione nei confronti delle calamità naturali. Questi cambiamenti possono ricevere un impulso formidabile sia dalla disponibilità di nuove tecnologie per la generazione, la trasformazione e la conservazione dell’energia, sia dalla prospettiva di comportamenti di consumo e di investimento più responsabili. Per ridurre i costi economici e sociali è però necessaria, sia a livello globale sia in ambito nazionale, una strategia con una chiara tabella di marcia che confermi la volontà di proseguire nella “decarbonizzazione” delle nostre economie, perseguendo quella che viene definita una “transizione ordinata”. Si tratta, in tutta evidenza, di un tema strategico, in particolare per il nostro paese, di cui è ben nota la fragilità ambientale. Una chiara definizione di come inserirlo nella più ampia strategia europea e globale per la riduzione delle emissioni aiuterebbe a limitare l’incertezza e stimolare gli investimenti necessari a decarbonizzare la nostra economia, rendendo manifeste le nuove opportunità di investimento di cui sovente gli operatori finanziari lamentano l’assenza. L’auspicio è che si concluda rapidamente la discussione parlamentare per l’aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, in modo da includere i nuovi è più sfidanti obiettivi europei...leggi l'intervento completo sul sito di Banca d'Italia