Auto, dichiarazione intenti esportatori: stop al fornitore

Il fornitore deve compiere una verifica più approfondita e attiva sulla validità di tali dichiarazioni per poter usufruire delle agevolazioni IVA.

Auto, dichiarazione intenti esportatori: stop al fornitore

La sentenza Civile Ord. Sez. 5 Num. 15679 del 2024 della Corte di Cassazione sembra introdurre una maggiore responsabilità per i fornitori in relazione alle dichiarazioni di intenti degli esportatori abituali. Ora, il fornitore deve compiere una verifica più approfondita e attiva sulla validità di tali dichiarazioni per poter usufruire delle agevolazioni IVA. La sentenza chiarisce infatti che la buona fede non è sufficiente; è necessario dimostrare una diligenza adeguata per evitare la responsabilità in caso di utilizzo improprio del regime di esenzione IVA.

 

Com’è noto, la verifica che il fornitore ha sempre dovuto effettuare sulla dichiarazione d'intento dell'esportatore abituale non ha richiesto un approfondimento complesso o una verifica fiscale di dettaglio.

Ci sono sicuramente alcuni passaggi essenziali da seguire per garantire la correttezza formale della dichiarazione e la conformità alle normative IVA. In particolare, il fornitore deve accertarsi della ricezione della dichiarazione e deve ricevere la dichiarazione d'intento direttamente dall'esportatore abituale, che è tenuto a trasmetterla telematicamente all'Agenzia delle Entrate prima di effettuare l'acquisto.

Il documento ricevuto dal fornitore deve riportare il numero di protocollo attribuito dall’Agenzia. A tal proposito il fornitore è tenuto a controllare, tramite il portale dell'Agenzia delle Entrate, che la dichiarazione d'intento sia stata effettivamente trasmessa dall'esportatore abituale e che il numero di protocollo sia valido. Questo è un controllo formale che può essere effettuato online. Il fornitore deve verificare che la dichiarazione d'intento sia compilata correttamente e che i dati dell'esportatore abituale, come codice fiscale/partita IVA, siano corretti e corrispondano ai dati dell'acquirente. Non è necessario verificare la condizione di "esportatore abituale" dell'acquirente, che è una responsabilità dell'acquirente stesso. 4. Anche se non è obbligatorio, è buona prassi verificare che l'importo della fattura emessa rientri nei limiti del plafond disponibile per l'esportatore abituale. Tuttavia, la responsabilità di non superare il plafond spetta principalmente all'acquirente. In sintesi, la verifica che il fornitore deve effettuare è principalmente formale e si limita a confermare la validità della dichiarazione d'intento tramite il portale dell'Agenzia delle Entrate e a controllare la correttezza dei dati riportati nella dichiarazione. Non è richiesto un controllo approfondito o fiscale della posizione dell'esportatore abituale.

Recentemente, tuttavia, alcune sentenze della Corte di Cassazione italiana hanno esteso gli obblighi dei fornitori che trattano con esportatori abituali nell'ambito delle operazioni in sospensione d'IVA. Oltre alla verifica della trasmissione telematica della dichiarazione d'intento da parte dell'esportatore abituale, il fornitore deve esercitare un maggior livello di diligenza. In particolare, le sentenze richiedono che i fornitori non si limitino alla semplice ricezione della dichiarazione, ma verifichino anche la legittimità del partner commerciale. Questo include l'uso di strumenti pubblici, come il Registro delle Imprese, per accertare che il cliente sia realmente un esportatore abituale. Il fornitore deve poter dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per evitare di partecipare, anche inconsapevolmente, a frodi fiscali o evasione dell'IVA. Se il fornitore non adempie a questo obbligo di diligenza e la dichiarazione d'intento si rivela ideologicamente falsa, potrebbe essere considerato responsabile, a meno che non possa provare di non essere stato a conoscenza della frode e di non aver avuto modo di scoprirla, utilizzando la normale diligenza. In pratica, i fornitori sono ora tenuti a verificare non solo la correttezza formale della dichiarazione, ma anche la legittimità del dichiarante, con il rischio di conseguenze finanziarie e legali se tali obblighi non vengono rispettati.

Infine l’aggravio di responsabilità nel caso di compravendita di auto ad opera dell’ultima pronuncia di Cassazione in cui appare pericolosa l’affermazione di un nuovo principio di diritto (i.e. obbligo di verifica della sussistenza delle condizioni sottese alla lettera di intento) in presenza di una normativa che prevede esattamente il contrario, ossia che “qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell'omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa” (cfr. art. 7, co. 3, D.Lgs. 471/97). In particolare, desta preoccupazione il seguente passaggio della sentenza ai sensi del quale testualmente: "7.7. Ne consegue l’enunciazione del seguente principio di diritto: «In tema di Iva, il regime di sospensione d’imposta di cui all’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 633 del 1972 per le cessioni ad esportatori abituali di autoveicoli da strada - beni per i quali l’Iva è di regola non integralmente detraibile ai sensi dell’art. 19bis 1, comma 1, lett. c) e d) del d.P.R. n. 633/1972 - può essere legittimamente applicato dal cedente a condizione che provi la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del regime fiscale derogatorio di non imponibilità Iva, e, in particolare, la sussistenza delle ipotesi eccezionali - con riguardo alla tipologia degli acquirenti di operatori esercenti la rivendita di autoveicoli ovvero di agenti o rappresentanti di commercio ovvero di operatori per i quali l’uso del veicolo può considerarsi oggettivamente strumentale - per le quali è ammessa da parte dei cessionari la detrazione integrale dell’Iva».